Parlare di un libro che non si è letto è un’operazione sciocca e dagli esiti incerti; quasi come pubblicare una dettagliata cronaca di una esecuzione capitale, poi sospesa, della quale non si è stati testimoni. Operazione riuscita solo all’Arnaudi di Pitigrilli.
Non confidando in tanta fortuna, prenderò spunto dall'<a href=”http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2010/01/web-il_futuro_della_rete.shtml”>articolo di Gianni Riotta</a> sul nuovo libro di Jaron Lanier: «You are not a gadget: a manifesto». – “Mettere ogni giorno insieme, senza alcuna selezione, gli argomenti dei filosofi e le arrabbiature del tizio davanti al cappuccino tiepido, […] i blog anonimi, con i loro inutili commenti, gli scherzi frivoli di tanti video […] rischia di distruggere le idee, il dibattito, la critica.” – Il giornalista continua, lamentandosi che i video più cliccati sulle maggiori testate on-line, quali Repubblica e Corriere, siano stati una ragazza che si tuffa nel lago e sbatte il sedere perché è gelato, la scema che fa la capriola e cade dal letto, ecc.
Invece quello che a me lascia perplesso, non è tanto il fatto che risultino i più cliccati, piuttosto che video di tal fatta, siano stati pubblicati e diffusi da testate autorevoli.
La spazzatura c’è dappertutto, nei giornali, nelle TV, nell’arte e non vedo in nome di quale antropologica teoria, Internet dovrebbe esserne esente.
Sospetto che l’analisi di Lanier sia più complessa ed articolata, ma anche considerando solo quanto analizzato dal Riotta, è innegabile che ci sia un problema di indifferenziazione e di autorevolezza delle fonti. Il PageRank, ovvero la posizione gerarchica dei link risultanti da una ricerca su Google, è calcolata in base a un criterio di popolarità e questo può accostare un link alle opere sul satanismo di Massimo Introvigne, con quello di Topolino e la propaganda occulta al satanismo.
Un miglioramento delle ricerche e risposte più raffinate e precise verranno forse con una maggior diffusione del web semantico.
Wikipedia, anch’essa attaccata nell’articolo, è potenzialmente influenzabile e manipolabile e proprio Wikipedia Fundation, conscia di ciò, lavora incessantemente per rendere sempre più autorevoli i suoi, anzi, i nostri contenuti. Gli autori delle voci sono i più attenti controllori di quanto modificato e spesso si scatenano discussioni animatissime intorno ad un contributo. Il progetto è molto stimolante, sicuramente più completo di qualsiasi enciclopedia realizzata da un pool ristretto di specialisti. Encarta di Microsoft ne ha subito le conseguenze ed ha dovuto chiudere.
Queste autorevoli opinioni le trovo piuttosto snob e presumono che il popolo della Rete sia decerebrato, incapace di mantenere un senso critico di fronte alle informazioni. Esercizio che non dovrebbe latitare neanche di fronte ad altri media, non interattivi, zeppi di trasmissioni di isole, grandi fratelli, o filmatini di cui sopra. Media che da tempo non sono più e forse non lo sono mai stati, garanzia di verità.
Ciò non significa che i contenuti e gli strumenti per raggiungerli non debbano essere migliorati, anzi. Neppure si nega esistano posizioni manicheiste e che, frequentemente, i netizen si raggruppino in tifoserie, formando dei clan a difesa delle proprie posizioni, incapaci di confrontarsi con gl’altri, violenti con le persone di idee diverse. Un male forse inevitabile, anche se sconfortante e che non nasce sul web, dove però trova la sua più naturale espressione.
Se questo concetto generale è vero, lo è in forma maggiore per quanto riguarda la comunicazione politica che, proprio per la facilità con la quale in questi spazi virtuali può essere falsificata, dovrebbe essere quanto più chiara ed efficace possibile. Per questo l’uso del simbolo e del nome del PDL è tutelato e monitorato dallo staff responsabile della comunicazione su Internet. Sembra che questi intervenga solo nei casi di evidenti storture e, per lo meno ufficiosamente, tolleri quello che a volte può sembrare una scapestrata spontaneità delle molte iniziative a sostegno del PDL.
Questo atteggiamento, non privo di insidie, da un lato permette di bloccare realtà che passino il segno, dall’altro consente di metterci sopra il cappello nel caso qualcuna di queste si dimostri efficace.
Irreggimentare la comunicazione spontanea, d’altronde, non è nemmeno lontanamente pensabile. Molti gruppi su Facebook, sorti per libera iniziativa, in “concorso esterno in PDL”, hanno scelto di organizzarsi in veri e propri network strutturati e ripartiti per regione o comuni e cercano, dalla Rete, di riflettersi sul territorio. Sono iniziative destinate miseramente a fallire. In primo luogo vanno au revoir rispetto a quanto di buono consente la Rete, ovvero l’annullamento delle distanze e la comunicazione globale. In secondo luogo non hanno struttura gerarchica e mancano di un referente che non sia il fondatore del movimento stesso. Il più delle volte questi è una persona capace e di buona volontà ma nulla più, senza collegamenti o incarichi entro la struttura del PDL, autonominatosi, quindi facilmente contestabile.
Una maggiore attenzione nei riguardi delle singole identità dei politici su Facebook sarebbe inoltre auspicabile e un rigore maggiore permetterebbe di limitare i danni causati dai finti account e darebbe autorevolezza a quelli veri. Proprio l’on. Antonio Palmieri, responsabile comunicazione Internet del PDL, in un intervento su una mia nota su Facebook, è stato vittima di dubbi sulla sua reale identità.
Ai movimenti spontanei si affiancano alcuni tentativi di fornire maggiori strumenti di comunicazione telematica, a carattere politico, entro l’area del PDL. Pochi giorni or sono, infatti, è stato reso disponibile un applicativo per Facebook che permette di collegarsi al sito forzasilvio.it, iniziativa lodevole ma di scarsa efficacia, in quanto si tratta di una piattaforma che di fatto fa uscire l’utente dal contesto del social network, ponendolo di fronte ad una barriera di un’ulteriore autenticazione, isolandolo da Fecebook e rinunciando così alla possibilità di coinvolgere altre energie. La comunicazione politica su Internet non ha bisogno di inventare nulla, piuttosto deve rivolgersi ed utilizzare in modo corretto le piattaforme che già esistono.
Si considerino, ad esempio, i blog che hanno successo: quello di Beppe Grillo, di Marco Travaglio e quello di Gad Lerner. I primi due, hanno seguito per i loro contenuti provocatori e, di fatto, si autoalimentano. Quello di Gad Lerner, invece, merita una riflessione aggiuntiva. Per chi non lo conoscesse, il dibattito nasce da un articolo di Lerner stesso, sotto al quale si esplicano le varie opinioni degli utenti. A differenza dei primi due, vengono tollerati commenti dissidenti e contrari, anche molto violenti. Lerner, ben si guarda dal bannarli, conscio che proprio le opinioni discordi alimentino il dibattito. L’altro aspetto vincente è determinato dal fatto che, quasi sempre, Lerner stesso intervenga e si confronti con il popolo del blog. Tutti e tre sfruttano la visibilità dei loro fondatori, opinion-leader di successo.
Ecco, ora immaginate un gruppo su Facebook, moderato direttamente dal PDL, che svolga la funzione di approfondimento di alcuni temi, che raccolga proposte e proteste, che lasci spazio ad un civile confronto e che goda dei commenti di alcuni politici noti. Non sarebbe forse un modo di avvicinarsi alla base, di non dare l’impressione di attuare una rigida politica dirigista, scollata dai problemi e, se non della gente e del Paese, perlomeno dai netizen? Nessun investimento finanziario, solo un po’ di tempo, costanza e buona volontà.
In un epoca in cui i profili di Facebook vengono usati dai TG, in prima serata, per stilare coccodrilli e dare informazioni su persone scomparse o rapite, è forse una ipotesi da valutare.
Pubblicato su Freedom24
24 Gennaio 2010