Sono state delle dure giornate. Arrivare ai laghetti di Awbari, Libia, passando da Nord, sfiorando il confine con la Tunisia e l’Algeria, è più difficile che fare la comoda ma noiosa strada che passa per Sebha. Non ci sono piste, se non nella prima parte, quella ciottolosa. Poi solo erg, tre o quattro giorni impegnativi, faticosi, che fanno dimenticare gli incanti della mitica Ghadames, dove la vecchia guida che ci accompagnava per la città, ci istruiva in un buon italiano. Vecchie tracce di un passato coloniale, riconoscibili anche a Tripoli, nella medina, ancora oggi con le indicazioni dei nomi delle vie in doppia notazione: araba e italiana. Poco distante resiste anche una piccola libreria, con testi solo in lingua italica.
Quattro giorni di Erg nella regione del Fezzan. Già dopo poche ore, si ha la sensazione che altro non esista che sabbia.
E’ difficile da spiegare come possa il nulla essere così affascinante, il vuoto di particolari viene riempito dai pensieri che fluiscono essenziali, senza altra distrazione. Un uroboro per la mente, che così diviene se stessa bastante. La percezione della realtà viene alterata, le distanze non hanno più significato, le salite divengono discese e solo il rapporto del cambio del fedele fuoristrada lo svela. Si può anche scendere dal veicolo, strabuzzare gl’occhi, ma l’inganno non svanisce. Scherzi delle ore centrali della giornata, dell’assenza delle ombre e di chissà che altro. Quando si spengono i motori rimane solo il profondo senso di immensità e di silenzio a fare da compagnia.
Dopo aver trovato i resti di un bimotore precipitato nel deserto, poco dopo Hammada Zegher, cerchiamo delle tracce che ci confermerebbero l’esistenza di un vecchio aeroporto italiano, la guida è certa sia quello il posto, ma non troviamo nulla, solo qualche bidone vuoto, ma di epoca più recente. Se c’era, la sabbia lo ha cancellato, ma non per sempre: la sabbia toglie e, prima o poi, restituirà. Così è stata ritrovata Leptis Magna: quando le sabbie hanno voluto.
Sono ormai ore che viaggiamo veloci su di un pianoro talmente piatto da sembrare artificiale, immenso. Lo sguardo si spinge lontano, all’orizzonte, lasciato libero di farsi trarre in inganno da alcune montagne sospese e capovolte. Ci fermiamo e ci chiediamo reciprocamente, increduli, se le vediamo tutti. Interroghiamo la guida che ride e ci dice che sono i monti che si estendono a Sud-Ovest del Morzuq, distanti molte decine di chilometri.
E’ l’ultima notte nel nulla, il giorno dopo arriveremo nelle civilizzate sabbie dei laghetti di Awbari, piene ormai di turisti, campeggi, souvenir, bar con tanto di sci e tavole per discendere le dune.
Una volta giunti ai laghetti, l’atmosfera si rilassa, siamo di nuovo nella civiltà e verso sera si fa festa. Anche le due guide e il poliziotto sono più socievoli del solito e, dopo l’immancabile tè alla menta, ceniamo assieme.
Sono seduto vicino a Bubaker, la nostra guida tuareg. Approfitto per chiedere di lui, della sua famiglia, di come viva. Scopro così che parte dei suoi parenti risiede in Algeria ed un fratello invece in Sudan. Lui preferisce la Libia. Gli chiedo se li vede, qualche volta. “Certo, spesso” – mi risponde – “Come fai con i confini? Passi per Ghat o per Ras Ajdir?” – gli chiedo – “Io non passo per nessun confine, passo per il deserto, per noi berber non esistono confini. Tutti i nomadi possono muoversi per il deserto come vogliono, senza badare ai confini, grazie soprattutto a Gheddafi.” – Lo guardo stupito – “Berber? Pensavo fossi tuareg…” – Mi sorride e con pazienza spiega – “Tutti i nomadi o seminomadi sono berber: tuareg, garamanti, beduini. Lo sono tutti quelli che non parlano arab.” – chiedo ancora – “Non c’è tensione tra arab e berber?” – fa una pausa, mi squadra e riprende – “Sì, di solito sì, anche se qui in Libia, meno. Le scuole, per esempio, sono uniche per tutti, arab o meno, donne o uomini. Tutti vanno a scuola. Nella stessa.” – Gli passo la bottiglia di whisky e, si serve un bel bicchiere pieno. “Scusa, ma non sei islamico?” – ride – “In città sì, nel deserto sono un tuareg e tuareg significa senza Dio” – mi verso del whisky anch’io – “Israele è un problema, anzi, il Problema. Lo è anche per voi? Quale soluzione credete possibile?” – alza le spalle – “E’ semplice, basta volerlo. Due popoli, due nazioni.”
Già, basterebbe volerlo, penso bevendo il mio whisky.
Pubblicato su Freedom24
18 Febbraio 2010