Onofrio Pirrotta: giornalista che ha collaborato con testate quali Il Mondo, Panorama, L’Europeo, Il Giorno, Il Messaggero, Vicedirettore dell’AdnKronos; approdato in RAI ha raggiunto la notorietà anche in video attraverso la “Nota Politica” in onda su RAI 2.
Il primo ad introdurre la figura dell’ospite/commentatore nella rassegna stampa su Rai 3. Sempre per questa rete negli anni 2000 ha condotto “È la stampa bellezza”.
Nel 1992 ha pubblicato per Mondadori un libro sul giornalismo, intitolato “Pressappoco”. Libro di successo che raggiunse ben sei edizioni.
Questo sintetico e pubblico ritratto è completo, oppure manca qualcosa della sua lunga carriera giornalistica? Sicuramente qualcosa mancherà. Ho fatto il giornalista dal ‘67 al 2005 (anno in cui sono andato in pensione), quindi per ben 38 anni. Ma non credo che sia importante e che interessi i suoi lettori.
Il suo mestiere Le ha permesso di entrare in contatto con persone importanti e famose. Una per tutte, Vittorio Gassman, con il quale strinse una profonda amicizia. Cosa Le è rimasto più impresso? Di Vittorio o degli altri? Di Vittorio mi è rimasta impressa la sua vitalità, la sua incapacità di oziare, oserei dire di riposare. Le sue famose depressioni , di cui soffrì tantissimo fino alla morte, erano dovute anche a questo. Si rendeva conto che col passare degli anni il lavoro diminuiva. Non perché non lo chiamassero, ma perché lui non era più capace di reggere la fatica come un tempo. Se ne accorse, anzi ne fu pienamente consapevole quando mise in scena – a settanta anni! – “Ulisse e la balena bianca”, un lavoro “mostruoso” per impegno scenico e scenografico, scritto da lui stesso.
Del mondo di cui ha fatto parte c’è qualche giornalista che Lei abbia ammirato in particolare sotto il profilo professionale e/o umano? Il più grande giornalista italiano del secolo scorso è stato, senza ombra di dubbio, Indro Montanelli. L’ho incontrato una volta alla redazione romana de “Il Giornale” da lui fondato e mi onorò di una qualche attenzione dicendomi che le mie note politiche per il TG2 gli piacevano perché, vivaddio, si capiva quello che dicevo. Mentre dagli altri…. Gli risposi che era merito suo, perché mi ero abbeverato ai suoi scritti fin da ragazzo, quando su ”Europeo” firmava memorabili corsivi con lo pseudonimo di MIRMIDONE. E che avevo nella mia biblioteca TUTTI, ma davvero tutti i suoi libri, compreso quello sulla nostalgia per le case chiuse , “Addio Wanda”. Rise di gusto.
Ma davvero , dopo Montanelli, non c’è più stato un giornalista che scrivesse con la chiarezza, la sinteticità e la capacità di penetrazione dei fatti come lui. Poi ho conosciuto tanti altri grandi. Uno per tutti, Gianfranco Piazzesi (l’autore del celebre libro di fantapolitica “Berlinguer e il professore”) il più grande notista politico del dopoguerra. Ecco con Gianfranco c’è stata una bella amicizia, durata fino alla sua scomparsa. Lo ricordo sempre con affetto e ammirazione.
Ha avuto modo di lavorare in contenitori diversi: quotidiani, settimanali, televisioni. Tra questi vi sono molte differenze nella metodologia di lavoro? In quale di questi si è trovato meglio e le ha dato più soddisfazione? Le maggiori soddisfazioni le ho avuto dai settimanali. C’è stato un periodo, in cui, per PANORAMA, sfornavo uno scoop a settimana. Uno per tutti: i famosi elenchi degli iscritti alla P2 li portai io a Panorama, ad un incredulo capo della redazione romana, Andrea Barberi. Che qui voglio ricordare riallacciandomi alla sua domanda di prima. Ecco un giornalista che ho ammirato anche dal punto di vista umano, oltre che professionale. Ma naturalmente la popolarità che mi ha dato la TV nessun altro mezzo me l’ha dato. Quanto alle differenze sono tantissime. Difficile poterle esporre in un’intervista. Proprio su questo tema ho fatto spesso delle lezioni alle scuole di giornalismo alle quali ero stato invitato.
E’ una mia impressione o il giornalismo che anche Lei ha impersonato non esiste più? Non solo per colpa di Internet, ma mi sembra che quello di oggi manchi di un certo rigore e di una forma che forse non era solo di maniera, ma sostanza. A suo avviso, quali le differenze? No, non è una sua impressione. Odio fare il “laudator temporis acti”, ma purtroppo è come dice lei. Le ragioni sono molteplici , e per esporle tutte ci vorrebbe uno spazio ben più grande che un’intervista. Le dico quelle che sono a mio avviso , le due più importanti. La prima è che non esiste più un solo giornalista – parlo di quelli che contano, ovviamente – NON schierato. Stanno tutti con l’elmetto e il fucile pronti a sparare. La notizia è ininfluente. Quello che conta è come ritorcerla contro l’avversario. O, viceversa, come sminuirla rispetto all’uso che ne fanno i giornali della parte avversa. Un esempio. Quando fra trenta, cinquant’anni gli storici vedranno che c’è stata una disputa seria, con interventi di grandi firme del giornalismo, oltre che di fior di direttori, per stabilire quale comportamento è eticamente più compromettente fra chi va “a escort” e chi va “a transessuali”, non crederanno ai loro occhi. L’altra ragione viene da lontano, ed è Tangentopoli. Quella stagione , che potremmo definire di “terrore giudiziario”, sancì il totale disprezzo per l’onorabilità delle persone. Stabilì, in altre parole, che chi finiva nella macchina mostruosa della giustizia non solo non era innocente fino a prova contraria, ma che era “presunto colpevole” fino a che non fosse in grado di dimostrare la sua innocenza. Fu in quella stagione che i giornalisti – quasi tutti tributari delle veline dei vari PM – impararono a sparare ad alzo zero contro chiunque fosse raggiunto da un avviso di garanzia. Oggi l’avviso non c’è più. C’è l’iscrizione nel registro degli indagati, ma i comportamenti non sono cambiati. Anzi, se è possibile, sono peggiorati. Quando dopo mesi, qualche volta anni, il povero diavolo viene prosciolto da ogni accusa, il danno enorme da lui subito perché i giornali lo hanno esposto al pubblico ludibrio è irreparabile. Non conosco una sola di queste persone che abbia – almeno per consolazione – ricevuto le scuse dai media che si erano fatti portavoce dei PM che li avevano accusati. Ecco è da qui che vengono la mancanza di rigore e la forma-sostanza di cui parla lei.
La politica italiana, proprio dopo mani pulite, è cambiata e si è organizzata in senso bipolare. Ancora oggi alcuni vorrebbero un ritorno al proporzionale. A suo avviso sarebbe possibile, semplificherebbe l’attuale situazione, o è un falso problema? E’ Un falso problema. Ma non si è già capito che con l’ingegneria sui sistemi elettorali non si risolve nulla? L’Italia ha bisogno di profonde riforme istituzionali. Non un maquillage, una ristrutturazione di tutta l’edificio: Parlamento, Governo, sistema giudiziario. Tutto è troppo vecchio e fa acqua da tutte le parti.
Sembra che l’attentato a Berlusconi abbia insegnato poco. Semmai i toni sono ancora più alti. E’ possibile che un simile clima ci porti sull’orlo di nuovi “anni di piombo”? No, non credo al ritorno degli anni di piombo. Credo invece che il clima dipenda da quanto le dicevo prima a proposito dei giornalisti. Voglio dire: non solo loro, ormai tutti – pure i cittadini che si occupano di politica anche a tempo perso, nei discorsi da bar o su Facebook – indossano l’elmetto e sono pronti a combattere. Chiunque la pensi in modo opposto al tuo non è un avversario con cui confrontare le idee, ma un nemico da abbattere. Se non fisicamente, almeno tramortendolo a suon di insulti. Ormai gli ultrà – triste fenomeno che pensavamo relegato negli stadi del pallone – sono proliferati anche nei bar e su Facebook. E contro gli ultrà non c’è niente da fare. Con loro non si può discutere. Sugli ultrà le voglio citare una straordinaria definizione di V. Hugo: ”Esser ultra, significa andar oltre; significa combattere lo scettro in nome del trono e la mitria in nome dell’altare, malmenare ciò che si sorregge, dar calci ai propri cavalli, cavillare col rogo sul grado di cottura degli eretici, rimproverare all’idolo la sua poca idolatria. Significa insultare per eccesso di rispetto, non trovare nel papa abbastanza papismo, nel re abbastanza regalità, trovar troppa luce nelle tenebre; significa esser malcontento dell’albatro, della neve, del cigno e del giglio in nome del candore, esser partigiano delle cose fino al punto di divenirne nemico, esser tanto in favore, da esser contro”. Secondo lei è possibile far ragionare chi cavilla col rogo sul grado di cottura degli eretici?
Esiste la possibilità che questa tribalizzazione delle opinioni rientri nell’alveo della civiltà, della legittimazione e rispetto reciproci, o dovremmo aspettare che la normalizzazione venga data dal prevalere o del berlusconismo o del giustizialismo? Al momento non vedo la luce. Quella che lei chiama giustamente la “tribalizzazione” durerà chissà ancora per quanto. Allo stato nessuna delle due parti in lotta, il berlusconismo e il giustizialismo, mi sembrano in grado di prevalere uno sull’altro. Anche se la piaga del giustizialismo – che io preferisco chiamare forcaiolismo – sembra più forte del berlusconismo: pensi che sono quasi 20 anni che non conosce un momento di crisi. Forse le future generazioni, con la fine del berlusconismo e la profonda riforma della giustizia di cui le parlavo prima potranno vedere finalmente un paese normale.
Paolo Visnoviz, 17 Marzo 2010