Sulla strada costiera che va da Ra’s Ajdir verso Tripoli si incontra un terminal petrolifero enorme, da far impallidire Priolo (Sicilia, il più grande concentrato di raffinerie in Italia). Sopra il cancello principale, guardato a vista dai militari, l’insegna è quella dell’ENI.
E’ ovvio che molti in Europa e nel mondo, dall’Algeria alla Francia, dall’Inghilterra alla Russia, vorrebbero il nome di un’altra compagnia su quell’impianto. Però stupisce che anche tanti italiani la pensino così, soffermandosi scandalizzati solo sugli aspetti folkloristici di Gheddafi.
Quello che non si coglie è che queste manifestazioni non sono dirette al popolo italiano o europeo, ma a quello africano. Servono a dare lustro e decoro al ràis, accreditandolo presso quegli ambienti ancora freddi al suo mai dimenticato disegno panarabo.
Certamente è un dittatore, ma nella Jamāhīriyya di oggi sarebbe impossibile adottare un’altra forma di governo, con il rischio di esporre il Paese ai terribili venti dell’integralismo. Proprio Mu’ammar è il primo freno a questi estremismi e in ogni ufficio rappresentativo, in ogni albergo di Tripoli vi sono uomini e metal detector disseminati ovunque, nel tentativo di scoraggiare eventuali attentatori. La Libia è un obbiettivo dei kamikaze islamici quanto e più dell’Europa, proprio per la sua visione islamica moderata. Le donne, pur non vivendo nel libero Occidente, sono rispettate e vanno a scuola e non vi è discrimine nell’istruzione neppure tra “berber” ed “arab”, caso raro nel mondo musulmano nordafricano. L’organizzazione dello Stato è efficiente e le condizioni di vita della popolazione sono discrete.
Viene considerata inaccettabile pure la qualità della detenzione degli immigrati clandestini. Probabilmente secondo gli standard europei questo è vero, ma la Libia è Africa, non la ricca e grassa Europa. Per chi scappa dal dramma del Darfur – del quale non si parla mai – quei centri di contenimento spesso rappresentano una delle poche speranze disponibili.
Stupisce, inoltre, che alcuni attacchi indignati per la visita di Gheddaffi in Italia provengano dal “Corriere della Sera”, testata legata alla Fiat attraverso RCS, l’editore di riferimento. Questa industria è da sempre un partner del Colonnello, fin dai tempi in cui il Paese africano era politicamente ben più ostracizzato di quanto non lo sia ora. Nessuno ha mai protestato più di tanto e comunque questi rapporti economici non sono mai riusciti a far uscire la Libia dall’isolamento.
Berlusconi è stato invece capace, con la sua “diplomazia dell’amicizia”, in una impresa notevolissima: riavvicinare la Libia all’Italia, diventandone il primo partner europeo. Iniziativa tutt’altro che scontata a causa di rancori storici e personali. Non va dimenticato, oltre ai noti fatti storici, che Mu’ammar ha perso due fratelli rimanendo ferito pure lui, proprio a causa di una mina italiana.
Il rapporto privilegiato con la Libia è il primo passo verso una politica mediterraneo-centrica che dovrebbe essere il nostro naturale, anche se difficilissimo, obbiettivo. Non solo perché il petrolio, con buona pace degli ambientalisti, farà da motore all’economia per molti anni ancora a venire, ma anche e soprattutto per contrastare culturalmente l’avanzata dell’integralismo islamico a Nord del Sahel. Buffonate? Solo per i miopi.
31 agosto 2010