LA SEMPLICE VERITÀ

Il discorso di Di Pietro alla Camera, in occasione del voto di fiducia al Governo Berlusconi, è stato di una violenza inaudita, inaccettabile per un Paese civile. Ma Di Pietro, che a volte sembra preda di esaltazioni innaturali e indotte, lo conosciamo bene. Recita, senza averne titolo, la parte del moralista indignato, dimentico delle sue poco chiare operazioni immobiliari e dei rimborsi elettorali pesantemente contestati. Personaggio che accettava piccole regalie, danaro e Mercedes che, una volta scoperto, ha restituito. A differenza del suo nemico Berlusconi, sua ossessione, un individuo con le pezze al culo fino a quando non è entrato in politica. Tutte cose note e causa del suo lento declino, superato nel moralismo da Grillo, altro personaggio che della sollevazione dell’indignazione popolare contro la casta ha costruito le sue fortune. Anche quest’ultimo non privo di contraddizioni, avendo dimostrato a più riprese che l’etica pubblica tanto invocata vale per tutti meno che per lui.

Quello che lascia perplessi e scoraggia molto è che un discorso quale quello di Di Pietro abbia trovato così tanti consensi da parte del popolo del WEB, dove molti invece di condannare simili toni e contumelie, hanno giustificato le sue parole affermando fossero la semplice verità.

Un popolo, non solamente viola, convinto che Berlusconi rappresenti il peggio del peggio del Paese, che nei commenti snocciola dati di processi, tessere P2 e tutto l’armamentario wikipedico; non riuscendo però neanche a capire quello che legge, eppure è scritto chiaro: “Silvio Berlusconi è stato oggetto di numerosi procedimenti penali, nessuno dei quali si è concluso con una sentenza definitiva di condanna”, con buona pace di Travaglio, Grillo, Di Pietro & C. Perché ciò sia avvenuto è a tutt’oggi motivo di scontro politico. La prescrizione, che se non è una assoluzione neppure è una condanna, viene però usata come lo fosse. Questo anche grazie al merito di qualche giudice che nelle motivazioni delle sentenze ha ben pensato di inserire ampi stralci delle tesi dell’accusa, certo che non potrà più essere confutato. Il processo Andreotti in questo ha fatto scuola. L’impianto accusatorio viene quindi portato non come tesi, ma come certezza di prova a carico, spingendosi spesso a considerare anche le sole indagini come dato certo di colpevolezza. Potremmo parlare all’infinito dei vari processi di Berlusconi, ma non faremmo altro che replicare quanto già accade su centinaia di forum e siti WEB, senza venire a capo di nulla. Quello che conta è che nessuno, ripeto, nessuno neanche Di Pietro, può smentire la frase virgolettata sopra riportata. Ciò chiude ogni discorso ben prima di iniziarlo.

Questo ragionamento, l’unico possibile in uno Stato di Diritto, non trova però applicazione nella realtà pratica del Paese e il giudizio su Silvio Berlusconi, imprenditore e politico, nonché carica dello Stato, non è improntato ad una comprensibile naturale diffidenza – determinata giustappunto dai procedimenti subiti o in corso – ma di assoluta, granitica, inossidabile certezza di colpevolezza. Stupisce quindi che, nella sua carriera, il Silvio nazionale si sia beccato solo un cavalletto e una statuetta in testa. Ma c’è tempo, qualche “incapace di intendere e volere”, quindi impunibile, saprà di certo fare meglio e diverrà così un eroe nazionale per i molti che prendono le grillesche e travagliate tesi come oro colato. Ovviamente mi auguro questo non avvenga e penserei lo stesso anche fosse Di Pietro al posto di Berlusconi. Ma non dico questo perché ho fatto mia la frase di Voltaire (paternità in realtà discussa) “non condivido quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dire quelle cose” (anche perché non ritengo  Di Pietro abbia diritto d’insultare), nemmeno per orrore del sangue o perché pensi che anche il trattorista abbia qualche merito; dico questo perché tale essere, con i suoi insulti, la sua pochezza, la sua totale assenza di qualsiasi luce seppur flebile d’intelligenza mi fa sentire migliore.

Da quindici anni la contrapposizione tra fazioni berlusconiane e forcaiole si svolge solo intorno a questi argomenti. Il ragionamento politico è passato in secondo piano, il volgo si accontenta di dimostrare ad altro volgo quello che al volgo non spetta: mafioso sì, mafioso no. Ma è la politica in realtà a guidare questa danza. In un sistema democratico, costosissimo meccanismo di compravendita di voti per antonomasia, Berlusconi ha minato il vecchio sistema e questo gli si è rivoltato contro. I centri di potere della cultura di derivazione comunista (molti sono quelli che disconoscono questa paternità, ma culturalmente ne fanno parte a pieno titolo) si sono ribellati. In primis certa magistratura e certa classe intellettuale.

Attualmente il disegno politico in atto è chiaro e si chiama restaurazione. Attraverso il tradimento di Fini, al quale non so cosa sia stato promesso, è in corso un processo che vuole a tutti i costi riformare la legge elettorale, non per senso di equità o per introdurre il voto di preferenza – come molti si appresteranno ad affermare – ma per ritornare a rosicchiare una fetta di potere. Oggi troppi ne sono esclusi e passasse una vera riforma federalista obbligando la classe dirigente a rispondere di bilanci e amministrazione, molti sarebbero quelli costretti a lavorare veramente, a non poter più intrallazzare. La classe politica del Sud – e non solo – salterebbe come un tappo.

Un inciso sul voto di preferenza. Introdurlo sulla scheda elettorale è inutile, una burla e una scusa, dato che le liste vengono scelte sempre dall’alto. Se si volesse fosse la gente a decidere il proprio candidato non è necessario metter mano alla riforma elettorale, basterebbe che i partiti svolgessero una azione sul territorio più a contatto con la gente, facendola partecipare alla scelta dei candidati, introducendo quindi un sistema di selezione meritocratico e condiviso. Per far questo non c’è bisogno né di un nuovo Governo, né di una riforma elettorale. Riforma che servirebbe ad abbattere il premio di maggioranza per far sì che il banchetto del potere e la sua spartizione siano più generosi. Alcuni caldeggeranno una deriva proporzionale, con lo scopo di ritornare al vecchio consociativismo, alla politica vuota, necessaria ad aggiungere posti a tavola. Cioè quello che è stata la vera rovina di questo Paese.

Da più parti si afferma che il bipolarismo sia fallito, invece non è mai semplicemente decollato. Il bipolarismo sarebbe dovuto servire a condurre al bipartitismo, come inizialmente hanno tentato di fare prima Veltroni con il PD, poi Berlusconi con il PDL. Ma troppi sono i cespugli e cespuglietti che vogliono amministrare il loro concime e che si sono opposti e sempre si opporranno a questo disegno che comporterebbe una inevitabile semplificazione della politica nazionale. Berlusconi è il naturale ostacolo a questo tentativo di nuovo consociativismo, per questo viene combattuto con ogni mezzo. Altro impiccio sulla strada di questo progetto è Renato Schifani, Presidente del Senato. Figura troppo importante in caso di crisi che, per consuetudine istituzionale, dovrebbe essere investita di un eventuale mandato esplorativo. Non mi stupirei che anche su questa figura inizino ad abbattersi ogni sorta di attenzioni da parte di certa stampa e di certa magistratura. Vedremo così ben altro che il metodo Boffo, dove almeno in quel caso la condanna,  passata in giudicato, c’era. Nel caso ciò accadesse sarà normale democrazia e Schifani solo un altro mafioso del nano piduista.

Pubblicato su Freedom24

30 settembre 2010

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