ANTIMAFIA SHOW

Saviano è abile e la sua narrazione, per larga parte attinta dagli articoli di Simone Di Meo, è dotata di una coinvolgente capacità espositiva. Rielaborazioni – quando non veri e propri taglia/incolla – legittime in quanto tratte da articoli di giornale, quindi pubblici, ma una citazione a piè di pagina della fonte sarebbe stato più onesto, certamente più elegante.

Nell’immaginario collettivo Saviano è divenuto colui che lotta contro la mafia per eccellenza, il solo che ha avuto il coraggio di parlare mettendo a repentaglio la sua vita; quindi diviene difficile criticarlo senza correre il rischio di passare per difensori dei mafiosi. Non traggano in inganno le gentili bacchettate di Travaglio, date per insegnare il mestiere e per pungolare il giovane scrittore campano ad osare di più sulla strada dell’illazione. A volte il maestro da un voto più basso di quello che l’alunno meriterebbe perché indispettito dalla poca umiltà, perché in egli scorge senso di autocompiacimento e quella vanità che solo al maestro stesso è permessa.

In effetti sentire pontificare – con tono ispirato, convinto e compiaciuto dei riflettori – un ragazzone napoletano trentenne su ‘ndrine e ‘ndrangheta calabresi e relative connessioni lombarde, non può che far sorridere. Un fenomeno mediatico alla Harry Potter, plaudito dalla sinistra in quanto nelle 331 pagine del suo “Gomorra” riesce a non nominare neppure per una volta un amministratore campano. Parlando di macchina del fango, toccata in sventura anche a Falcone, riesce a non citare né “La Repubblica” né Leoluca Orlando. Plaudendo all’arresto di Iovine, il boss campano a lungo latitante, afferma avesse atteso questo momento da quattordici anni, ringrazia tutti ma dimentica uno dei protagonisti del clamoroso arresto: Vittorio Pisani, capo della mobile napoletana. Lo stesso funzionario che non riteneva necessaria la scorta per Saviano.

Sembra chiaro, quindi, che il menestrello dell’antimafia napoletano soffra di strabismo politico. L’ultimo errore di Saviano è stato pacchiano quanto sgradevole. Si chiama generalizzazione. Secondo lo scrittore la ‘ndrangheta cercherebbe di relazionarsi con la Lega. Viene così lanciato il messaggio che la Lega tutta sia collusa con il malaffare, il ministro Maroni paragonato addirittura a Sandokan. Le mafie, invece, non hanno mai guardato il colore politico, hanno sempre cercato di fare i loro affari con tutti quelli che davano loro un’opportunità. Amministratori disonesti ce ne sono dappertutto e probabilmente anche nella Lega ve ne saranno, ma non si dimentichi che queste sono responsabilità individuali, non di sistema. Un ragionamento che riesce a fare persino Gianfranco Fini, affermando testualmente “Non capisco come qualcuno si possa indignare se c’è chi dice che la mafia è anche al Nord. Non è una polemica contro un partito o contro un territorio nazionale. La mafia è ovunque c’é un interesse.” Proprio questo non torna, invece. Chi ha udito le parole di Saviano ha ben inteso il sillogismo ‘ndrangheta-potere-Lega, diversamente, appunto, nessuno si sarebbe indignato.

La lotta alle mafie è una battaglia che appartiene a tutti, senza distinzione di schieramento politico alcuno, senza strabismi e, soprattutto, senza show e teoremi da avanspettacolo.

Pubblicato su Freedom24

20 novembre 2010

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