Ieri sera a Porta a Porta si è visto un Fini insofferente, indisponente e maleducato pure nei confronti di Bruno Vespa. Ha accusato il conduttore, a più riprese, di frequentare il Premier; quasi fosse una macchia indelebile, una colpa gravissima. Nessuna attenuante per il mestiere di giornalista che, va da sé, cerca notizie ed opinioni dove queste ci sono e possibilmente ai massimi livelli, Presidente del Consiglio incluso.
In quest’Italia con il moschetto perennemente puntato contro il nemico non c’è più spazio per quel giornalismo d’antan, rigoroso nei modi, rispettoso della forma e fedele ai compiti dell’informazione. La figura del giornalista che non si confondeva con quella dell’opinionista apertamente schierato è ormai scomparsa e forse Bruno Vespa ne rappresenta uno degli ultimi esemplari.
La moderazione, la ragionevolezza, la mancanza di una presa di posizione chiara vengono scambiate per piaggeria o peggio, per collusione. I moderati sono così costretti, loro malgrado, ad indossare l’elmetto per sopravvivere nelle trincee dell’etere popolate dai Floris, Travaglio, Santoro, Sgarbi, Vianello, Mirabella. Esercito schierato in servizio permanente effettivo a difesa delle opinioni della propria appartenenza politica, pubblicamente ostentata.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti e a questo si cerca di porvi rimedio non con il buonsenso, merce evidentemente sempre più rara, ma pensando ad una legge che bilanci con astruse regole le urla e le strida sempre più forti. Eppure basterebbe abbassare la voce per farsi udire.
Al di là della situazione sconfortante dello stato dell’informazione, ieri sera però Fini ha passato il segno, offendendo il giornalista fin dalle prime battute: «Lei conosce bene la stampa italiana, ne è uno degli interpreti e a volte uno degli interpreti più fantasiosi». Nei successivi passaggi dell’intervista il Presidente della Camera non ha perso occasione per lanciare ulteriori frecciate velenose nei confronti del giornalista.
Bruno Vespa non ha perso il suo aplomb, cavandosela piuttosto bene, mentre Gianfranco Fini ha dimostrato d’essere insofferente, irritato oltre che maleducato. Il suo continuo, stucchevole rifarsi ai regolamenti è sembrato frutto di supponenza. Di interessante politicamente ha detto ben poco, non scostandosi di un solo millimetro dall’antiberlusconismo feroce che lo contraddistingue.
Ha continuato a sottolineare FLI sia una forza di destra, una destra diversa da quella maggioritaria, oggi rappresentata da PDL/Lega. Vero, ma anche questo è ben noto. Se Berlusconi cerca di rappresentare la destra liberale, quella di Fini rappresenta una destra sociale, sconfitta e cancellata dalla storia. Per di più in quest’epoca dalle dimenticate ideologie, quindi senza alcun limes, rischia di confondersi e sovrapporsi nelle posizioni patrie di schieramenti di sinistra.
Bocchino, ospite da Vespa subito dopo l’intervista di Fini, ha affermato che FLI sta con la bacinella in mano attendendo si rompa la damigiana/PDL. È una pia illusione, quando la damigiana si romperà – ed certo prima o poi capiterà – non una sola goccia andrà ad aggiungersi a quelle poche rimaste della formazione finiana.
Entrambi, Bocchino e Fini, hanno però dimostrato in modo inequivoco e con i loro ragionamenti arroganti ed intolleranti, che Futuro e Libertà attraversa un momento difficilissimo, dove è a rischio la sua stessa sopravvivenza.
Paolo Visnoviz
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ed è questa maggioranza silenziosa di italiani moderati che non trova espressione politica.
L’attuale Presidente della Camera, al di là del suo sacrosanto diritto di libera espressione politica e aggiungerei anche di leader di una formazione, ha offerto uno spettacolo poco dignitoso del suo ruolo di arbitro di uno dei due rami del nostro Parlamento.
Lo spettacolo offerto è l’ennesimo elemento di disorientamento per l’elettorato italiano; assistiamo da anni ad un sistematico svuotamento di ogni valore della politica e di ogni contenuto sia in termini di disegno e di visione del futuro del Paese sia in termini di programmazione che in più immediati effetti di azione amministrativa.
Viviamo in un luogo in cui la massima espressione di voto si concretizza negli SMS e nelle telefonate per le trasmissioni televisive e ne voyeurismo giornalistico offerto da quasi tutte le trasmissioni di approfondimento politico. I giornalisti sono diventati galli da combattimento foraggiati dalla politica e sui quali ogni sera la folla degli scommettitori punta per incassare l’eventuale vincita in discussioni del mattino al bar o nel megafratello degli account sui social network, luoghi altamente estremizzanti in cui, come ai tempi della inquisizione, si viene messi al rogo al primo sospetto di NON allineamento (devo dire che per la mia personale esperienza ciò avvine con frequenza maggiore in account-conclave di fede antiberlusconista).