MEDIA E GUERRA

C’è qualcosa che non torna di come vogliono raccontarci il mondo. Comprendo la necessità di sintetizzare le vicende anche complesse per renderle facilmente decodificabili, ma non si dovrebbe mai scadere nella narrazione dicotomica, dove i cattivi stanno tutti da una parte e i buoni tutti dall’altra. Perché non si tratterebbe più di necessità di semplificare l’informazione, sfrondandola dei troppi dettagli che appesantirebbero il racconto e la comprensione, bensì di mistificazione e falso.

Ma è esattamente così che si comportano certi quotidiani che partono da assunti ideologici. La stampa orientata a sinistra, all’epoca dell’invasione dell’Iraq mai da questa digerita, ci ha progressivamente imposto l’uso di una specifica terminologia. Gli attentatori di al-Qeaeda sono stati fatti passare per “gli insorti” o per “resistenti iracheni”, nobilitando così dei vili terroristi. Tramite l’uso di aggettivi impropri hanno instillato nel lettore distratto la convinzione si trattasse di forze che combattono per la liberazione del loro Paese contro l’arrogante invasore. Hanno però dimenticato di dirci che il numero maggiore delle vittime di questi attentati abbia coinvolto proprio le popolazioni locali, in prevalenza curdi e sciiti, opposti ai sunniti (alleatisi con al-Qaeda) che erano al potere fino alla destituzione di Saddam.

Con il senno di poi si può affermare quella guerra sia stata un errore, forse inevitabile, ma pur sempre un errore. Ha rafforzato l’Iran indebolendo e trascinando nella guerra civile l’Iraq, suo eterno nemico. C’è però da dire che nel caso di Saddam la reazione occidentale è stata determinata dall’invasione del Kuwait e dall’incompiutezza della prima guerra del Golfo che liberò il Paese aggredito, ma non pose fine alla minaccia di Hussein rendendo così inevitabile il secondo intervento militare. Anche se mai sono state trovate le armi di distruzione di massa – date per certe ed usate come casus belli dalla coalizione occidentale – prova del loro uso c’è stata. Basta ricordare la strage del popolo curdo il 16 marzo 1988, dove nel villaggio di Halabja vi furono più di 5000 vittime – uomini, donne, vecchi e bambini – uccisi dalle armi chimiche sganciate dall’aeronautica militare del regime di Saddam Hussein.

Nella guerra di Libia l’informazione si sta comportando in modo analogo. Gheddafi è descritto come il sanguinario tiranno che uccide il proprio inerme popolo. Ma non si è mai visto un popolo inerme armato di kalashnikov. Le proteste di piazza non si fanno con le armi, altrimenti non sono più proteste pacifiche e si chiamano rivoluzioni armate. Ma questo si verificava all’inizio, ora non si tratta più di semplici insurrezioni, ma di vera e propria guerra civile dove una parte del popolo libico ha al suo fianco delle potenze occidentali che li hanno meglio armati e sono pure intervenuti attivamente bombardando le strutture militari e le colonne dell’esercito di Gheddafi. Più che una no-fly zone è stata imposta una no-tank zone.

La distorsione narrativa continua e per suscitare maggior indignazione nei confronti del tiranno si afferma ricorra all’uso di scudi umani. Peccato quella gente non sia costretta, non sia tenuta in ostaggio come più volte ha fatto invece Hamas, ma siano cittadini libici che liberamente hanno scelto questa pericolosa via per evitare venissero colpiti alcuni obbiettivi sul suolo libico. Il regime spara contro il suo popolo, si dice, ma quel popolo vittima delle pallottole è armato e vuole la morte di Gheddafi. Una reazione è lecito aspettarsela, oppure si pretende che il Colonnello si lasci impiccare senza difendersi?

A capo del “Transitional National Council”, l’organizzazione che vuole rovesciare Gheddafi e che ha appena nominato un governo provvisorio, c’è Mustafa Abdul Jalil, ex giudice libico poi divenuto ministro della Giustizia. Altri dei 31 appartenenti al comitato rivoluzionario sono Ali Al Issawi (ex ministro dell’economia ed ex ambasciatore d’India) e Omar Al Hariri ex generale che contribuì all’ascesa del potere del Colonnello. Se si considera Gheddafi un sanguinario dittatore non è ragionevole pensare che personalità di questo livello, così vicine al regime, non siano state in alcun modo colluse con le sue malefatte.

Ma certa informazione di casa nostra vorrebbe lo credessimo e pensassimo l’azione di guerra occidentale contro la Libia guidata da nobili intenti, mentre risulta sempre più chiaro che gli esponenti di cui sopra altro non siano che i futuri referenti dei nuovi partner commerciali. Francia in primis.

Risulta incomprensibile, quindi, come dei giornalisti italiani diano un taglio alle notizie tale da risultare controproducente per l’Italia stessa, raccontando la storia che conviene ad altri sia raccontata. Nel frattempo, a rigor di logica e secondo i medesimi ideologicizzati giornalisti, dovremmo gioire perché la nuova ventata di democrazia ha spazzato via i corrotti regimi di Mubarak e Ben Ali. Pure i tunisini fanno i salti di gioia, al punto che hanno preso d’assalto Lampedusa. Chissà, forse vengono a ringraziarci per il solidale sostegno loro dato.

 

Paolo Visnoviz, 23 marzo 2011

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