WOODCOCK STYLE

Da giorni ormai impazza lo scandalo P4, con certa stampa che vorrebbe Bisignani deus ex machina di ogni intrallazzo e collettore d’informative riservate. E sulla base di che cosa? Di intercettazioni telefoniche, ovviamente.

A ben guardare però, a questo grande manovratore di tutti i traffici non è andata bene una. Sconsigliava Masi in Rai ed eccolo prontamente smentito dalla nomina di questo a Direttore Generale di viale Mazzini. Voleva favorire in Trenitalia una società di sistemi frenanti – nella quale aveva cointeressenze -, e invece venne scavalcato da società tedesche. Alla Santanché, in difficoltà perché messa in un angolo da Fini quando ancora c’era Alleanza nazionale, consigliò di approdare a La Destra dove avrebbe avuto un ruolo di primo piano, e mai flop fu più clamoroso. Insomma un disastro, anche se, per semplice speranza matematica, qualche maneggio gli sarà pur andato a buon fine. Ma di questo, al momento, non v’è traccia.

Curioso che nei capi d’accusa vi sia la rivelazione di notizie coperte da segreto. Quindi quello che si legge ogni giorno sui quotidiani che sarebbe, una specie di legge del taglione? Se era il “Bisi” ad alimentare una fantomatica macchina del fango non c’è proporzione: Corriere, Repubblica, Il Fatto Quotidiano hanno messo in moto delle intere fabbriche di sterco e ne producono a getto continuo.

Di poco fa la notizia che anche Michele Adinolfi, capo di stato maggiore della Gdf, sarebbe indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento personale. Non si tratta più di soli pettegolezzi, la posta si sta alzando a dismisura e questa volta Woodcook sarà bene abbia in mano qualcosa di concreto e che possa dimostrarlo in modo inoppugnabile. Dopo il Vip Gate, Vittorio Emanuele di Savoia e Vallettopoli – tutte inchieste deflagrate sui quotidiani e affondate nei tribunali – fallisse anche questa sarebbe il caso cambi mestiere. Sperando non decida di darsi alla politica, ovviamente. Di magistrati falliti e riciclati ne abbiamo già a sufficienza.

È chiaro che questo inutile sputtanamento collettivo deve essere fermato, salvaguardando le intercettazioni come formidabile strumento d’indagine, ma evitando vengano usate in modo improprio. Anche perché, logica vorrebbe, una conversazione privata potrebbe essere indicativa di un reato, indirizzando gli investigatori presso tempi e luoghi dove questo potrà consumarsi, ma in sé stessa non lo è mai. Una chiacchiera non è un reato. Uno sfogo, anche una cattiveria detta da qualcuno, non ha rilevanza penale alcuna. Al telefono ci si potrebbe pure accusare di aver ucciso mille persone, ma se i corpi non si trovassero non si potrebbe comminare ergastolo alcuno. Applicando questo principio ai “successi” di Bisignani la conseguenza non può che essere una: gossip con impropria partecipazione di certa magistratura. Dagli esiti però ben diversi dal semplice pettegolezzo, date le conseguenze facilmente immaginabili.

Se prima trovavo ragionevole una riforma delle intercettazioni che andasse solo nella direzione di una maggior restrizione della divulgazione delle stesse, ora non credo basti più. Bisogna obbligatoriamente porre dei limiti già alla concessione del permesso all’ascolto perché, è evidente, una volta depositata la registrazione questa finisce immancabilmente nel tritacarne mediatico. Sotto questo profilo siamo messi peggio dell’Afghanistan, dove le intercettazioni telefoniche di alcuni collaboratori di Gino Strada – forse coinvolti in un traffico d’armi, certamente per quella vicenda cacciati a pedate da Lashkar Gah – mai divennero di pubblico dominio.

Paolo Visnoviz, 25 giugno 2011
Zona di frontiera (Facebook) – zonadifrontiera.org (Sito Web)

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