I COMUNISTI VOGLIONO IL LINCIAGGIO

Nella mia esistenza mi sono ripromesso più e più volte di dare un senso compiuto alle mie letture, di farle procedere seguendo un filo logico. Non ci sono mai riuscito. Mi è sempre capitato di andare in libreria per comperare un libro e di uscirne con tre, quando andava bene. Vittorio Gassman un giorno confessò ad Onofrio Pirrotta che «in tutta una vita si possono leggere al massimo 8-10 mila libri. Che cosa sono in confronto a ciò che è stato scritto? Meglio coricarsi nel proprio lettuccio d’ignoranza e ruminare le quattro stroppole del nostro risibile scibile».

Da quel giorno, accompagnato dalla sottile angoscia del tempo che fugge (e dal fatto che forse mai arriverò nemmeno alla metà della cifra esposta), cerco almeno di evitare libri di cui sospetto l’inutilità. A dir il vero non ho mai considerato il libro mero strumento di svago o d’evasione, nemmeno da adolescente. C’è stato un periodo in cui leggevo gialli o fantascienza, ma lo attraversai come una meteora. Farò inorridire i più, ma ormai mal sopporto pure i romanzi di alcun genere. Troppo pieni di parole per rappresentare poco. Di invenzioni letterarie non se ne vedono più dai tempi di Gide, già con troppe pagine per giungere a quel gratuito atto nichilista. Poi chi? Kundera? Ma per piacere… Forse Suskind ben rappresenta lo status quo: la necessità d’esagerare un senso – l’olfatto (ma può essere qualunque cosa) – per narrare una diversa prospettiva, ingigantendola e portandola all’estremo, ma è solo un trucco da avanspettacolo. Il romanzo rimane uno strumento formidabile (quando è buono), una antenna che capta in anticipo i segnali di una società, i suoi disagi per coagularne lo stile. Lo stile, appunto, non l’essenza. Questa è già stata raccontata dai grandi nel corso dei secoli. Non potrebbe essere diversamente, essendo l’uomo contemporaneo identico a quello platonico. Basta leggere il Simposio per scoprire che, nel nostro sentire, non siamo figli di Platone ma suoi fratelli. Smarriti millenari contemporanei che usano solo un altro linguaggio per dibattere del medesimo immutato sé.

Ecco, tutto questo per giustificare che, nonostante i miei sforzi, continui a leggere di tutto. Dall’etichetta dell’acqua minerale in su. Recentemente mi è capitato tra i bit uno scritto di Rita Pani, sedicente apolide, sedicente scrittrice comunista. Titolo: «E’ affascinante il linciaggio». Ce l’ha con “la merda di stato”, la recente finanziaria e con la P4 che ha pagato la casa romana di Tremonti. E fin qui credo in pochi potrebbero darle torto, non io certamente. Ma il suo atteggiamento di fronte al problema è violento e inaccettabile. Propone tre possibili soluzioni: la galera, in subordine la povertà e la sofferenza e, per ultima, il linciaggio. Li manderebbe tutti a spalare ghiaino, sudare per puzzare, per provare finalmente la comune disperazione. Comune di chi? Non la mia. La mia disperazione, sig.ra Pani, non la voglio dividere con nessuno, tanto meno con lei. La mia disperazione è un fatto privato, frutto di mie incapacità semmai, non colpa di qualcuno. Dice d’essere pagata 20 per un lavoro da 100. La bravura invece è farsi pagare 100 per un lavoro da 20. Come? Diventando più bravi, più veloci, più competitivi. Altrimenti è giusto prenda 20. E non è colpa di nessuno.

Spara ad alzo zero pure su «Scilipoti che presenta il suo libro, quella puttana, col suo padrone, su cui senza ritegno fa scorrere la sua lingua». L’ho sentito anch’io e le dirò che ho avuto una impressione completamente diversa. Forse sono ingenuo, ma io ho creduto sia a lui che a Berlusconi. Si può cambiare idea e credo Scilipoti fosse in buona fede. Avrà avuto pure il suo tornaconto, forse, chissà, anche se a me non è proprio sembrato fosse quella la molla del cambiamento. Ma lei, invece, sembra certa, graniticamente sicura Scilipoti sia “l’ultimo servo che si affanna per assurgere agli alti ranghi della servitù”. La invidio per queste sue inossidabili certezze che non mi sono proprie, neanche in senso opposto. Comunque non si preoccupi, non compererò il libro di Scilipoti – per quanto sopra espresso – e così nemmeno rischierò di perdere la vista come da lei augurato a tutti coloro lo leggessero.

Per la sua malattia, vede, anche questa non è colpa di nessuno, però so che odiare tanto non aiuta. No, non aiuta proprio. Addirittura afferma che “questi bastardi le impediscono la vita”. Io mi considero invece il padrone di me stesso, a nessun Berlusconi, a nessuna democrazia – figuriamoci a questo schifo di sistema – consegnerei mai tanto potere da impedirmi la vita.

Forse non lo sa ma è pure fortunata. Per i suoi guai ha dei nemici da combattere, responsabili della sua grama esistenza e che lincerebbe se solo non temesse di passare per cogliona. Io nemmeno questo, essendo così presuntuoso da considerami prima cagione del mio destino.

Le auguro sinceramente il vento giri presto a suo favore

Paolo Visnoviz, 10 luglio 2011
Zona di frontiera (Facebook) – zonadifrontiera.org (Sito Web)

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