Dibattere se Anders Breivik sia cristiano, cristianista oppure massone, mi scuserà Mario Colella, ma è fatica sprecata. Non ritengo sia nulla di tutto ciò, ovviamente. Può definirsi o possono definirlo come si vuole, ma è evidente non sia un “vero cristiano”, ovvero sempre secondo la definizione di Colella, un’anima pia che abbia incontrato Cristo. Nemmeno può essere definito un cristiano di elezione culturale, un cristiano-relativista, come molti lo sono in Occidente per incidentale fatto di natalità e per aver così assimilato per osmosi, induzione e contatto la cultura imperante. Le sue orribili gesta sono sufficienti a smentire in radice tutto ciò. Questo vale anche per la definizione di massone, in quanto anch’essi hanno in massimo rispetto la vita umana e, per loro via, cercano elevazione spirituale.
Nemmeno però sono concorde con Giuliano Ferrara che lo riduce a perfetto cretino. Va da sé che per pianificare l’orrore che ha sconvolto la Norvegia e il mondo, tecnicamente, l’assassino non possa essere un minorato mentale.
Breivik è semplicemente un disadattato. Un pazzo che si è rivoltato contro la sua stessa società che l’ha partorito. E questa società è ben lungi da quel modello di perfezione che in tanti ci hanno raccontato essere. In molti, nelle ore immediatamente successive all’attentato e al massacro, hanno puntato il dito contro la jihad. Non solo Libero o il Giornale, ma anche Lucia Annunziata, mentre Adriano Sofri si sperticava nella descrizione di un paese perfetto, la Norvegia, ormai paradiso perduto.
Balle. La Norvegia non è un Paese Perfetto né lo è mai stato, ma solo una povera nazione di pescatori che negli anni settanta ha avuto il culo di trovarsi seduta su un mare di petrolio. Con la valanga di denaro giunta nelle loro casse hanno importato gli immigrati per svolgere quei lavori che non erano più disposti a fare.
Si imbottiscono di hamburger, televisione e psicofarmaci, prescritti come fossero caramelle dal medico della mutua, poi qualcuno, di tanto in tanto, esplode. La polizia vive nel mondo delle favole nordiche, assolutamente impreparata a gestire il furto di un Munch, figuriamoci se poteva prevenire una simile strage. Nella parte Sud del Paese sono più “normali”, ma tutti affetti da paranoie nazional-cristiano-protestante-bianco-bigotto-coglione che al confronto Calderoli è un tollerante e illuminato multiculturalista.
L’Arbeiderpartiet (AP) è un gruppo di simpatici demo-marxisti di genere naif, pervicacemente convinti il socialismo sia la panacea per tutti i mali, che tutti gli immigrati lavorino onestamente, regolarmente assunti, paghino le tasse e non vendano droghe e, pur essendo al 90% musulmani, vogliano integrarsi con gli infedeli autoctoni. Vivono in un sogno da cui Breivik li ha prematuramente risvegliati. Un piccolo Adolf locale che ha scritto un Mein Kampf pieno di amare verità su come l’Europa stia diventando schiava dei musulmani.
La favola buonista serve solo a mettere a posto la coscienza, illudendosi vada tutto bene e non sentirsi in colpa di sfruttare gli immigrati, facendo compiere loro i lavori più umili, sottopagandoli e pretendendo pure di integrarli.
Breivik è lo scarto, il sottoprodotto di una società che ha bisogno di schiavi che ipocritamente chiama liberti e pretende pure vivano felici, non volendo neppure guardare in faccia le enormi contraddizioni esistenti e il profondo disagio presente. Infatti il vendicatore templare da videogame non se l’è presa con i musulmani, ma con la sua stessa ipocrita società. E per quanto orribile ed inaccettabile sia quanto accaduto, sentiremo ancora parlar molto di questo assassino il quale altro non attende che il processo faccia da palcoscenico alle sue tesi. Prevedo seguaci.
Ma la sinistra progressista che per anni ci ha raccontato che delinquenti e criminali erano vittime innocenti di una cattiva, ingiusta società, ora cosa dicono?
Paolo Visnoviz, 26 luglio 2011
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