Molto si parla di spread, di bond e si continua a discutere del crollo delle Borse. I bond altro non sono che delle obbligazioni, dei pagherò che lo Stato si impegna a restituire, con una quota di interesse, a chi glieli compera. Minore è la fiducia in quella Nazione, maggiore sarà l’interesse corrisposto a compensazione del rischio. Normale regola di mercato. Non c’è trucco e non c’è inganno, neppure c’è un complotto tra agenzie di rating e oscuri finanzieri cattivi per affondare interi Stati. Semplicemente, dati i fondamentali dell’economia e recessione globale in atto, non si crede più nella solvibilità di alcune Nazioni e ci si libera di obbligazioni che ormai si credono a rischio.
Nessuno acquistasse più i bond italiani saremmo condannati al fallimento, al default, per usare un termine modaiolo. Infatti questi servono a finanziare lo Stato, il debito stesso, i suoi costi e il funzionamento di tutto l’apparato pubblico. Perché le entrate – pur colossali – sono insufficienti a coprire le spese. L’indebitamento e la sua esponenziale crescita non sono mai serviti a creare nuova ricchezza nel Paese, attraverso infrastrutture, ammodernamenti, investimenti produttivi, ma soltanto al conseguimento del consenso politico-elettorale attraverso clientele e intrecci partitico-affaristici.
La recente manovra finanziaria, così com’è, non affronta se non in modo marginale la necessità di risanamento sul fronte strutturale. Rimane un provvedimento-tampone per il raggiungimento della sola parità di bilancio. Stupisce che la medesima analisi la faccia pure Paolo Cirino Pomicino, simbolo dell’italico sfascio, personaggio che ha contribuito a creare quel colossale debito pubblico e che ha sguazzato nei peggiori intrallazzi tra politica e malaffare come testimoniano le condanne ad un anno e otto mesi di reclusione per finanziamento illecito (tangente Enimont), il patteggiamento a due mesi per corruzione per fondi neri Eni, il coinvolgimento nella cattiva gestione dei finanziamenti per il Terremoto dell’Irpinia del 1980 (circa 60.000 miliardi di lire), con i processi finiti in prescrizione. Avesse almeno il pudore di tacere e sparire per sempre dalla vita pubblica, invece viene invitato a pontificare a RaiNews24 perché anche un Pomicino, se parla male del governo, porta acqua al mulino dei giornalisti attivi sul fronte della propaganda quali Corradino Mineo.
Si parla pure di “contributo di solidarietà” e mai termine fu più infelice ed offensivo per camuffare una tassa. Solidali verso chi? Con chi ha sfasciato questo Paese, portandolo sull’orlo del fallimento? Tutto mi viene in mente, meno che la parola “solidarietà”.
Ai nostri guai non bisogna cercare altre cause se non l’ingiustificata crescita dell’apparato pubblico, ma troppi, invece, fanno opera mistificatrice e cercano cause esterne. Come non è colpa della finanza, così non è colpa dell’Euro e non si può pretendere che la Germania si faccia carico dei guasti altrui. Troppo comodo. Abbiamo deciso di aderire all’Euro, non al Marco. Tipico ragionamento lamentoso, figlio di una mentalità assistenziale sudista che è penetrata talmente in profondità da rivolgersi con sfacciata arroganza non più al solo ricco Nord (che non ne ha più), ma direttamente ai più forti paesi europei, minacciando meschinamente il default come arma ricattatoria. Vergogna!
Il cambiamento ormai necessario e improcrastinabile cui siamo chiamati non riguarda solo la classe politica, ma coinvolge tutta la società. L’etimologia stessa della parola “clientele” deriva dal latino imperiale “cliens” e del rapporto di “deditio” che lo legava al “patronus”. Illuminante risulta Quinto Tulilo Cicerone e il suo “Commentariolum petitionis”, un manualetto elettorale del 64 ac, attualissimo specchio del comportamento politico-sociale dei giorni nostri.
Abitudini talmente stratificate nei secoli da essere divenute abituali costumi. Per capire quanto profondo e connaturato nell’italico comportamento sia questo meccanismo, vi voglio raccontare un episodio candidamente confessatomi da un mio amico “viola”, duro e puro. Uno di quelli che ad una parola sì ed una no usa come intercalare “nano mafioso”, uno che partecipa attivamente al Movimento 5 Stelle di Grillo e va in deliquio per i deliri di Sonia Alfano.
Questo amico recentemente aveva cambiato lavoro, abbandonando la troppo faticosa e poco tranquilla libera professione per entrare in una grande azienda parastatale. Ebbene, ammise vi era entrato tramite raccomandazione politica, tramite la solita spintarella. Fatta notare la “leggera” incongruenza dei suoi comportamenti ottenni in risposta solo un allargar di braccia che indicava “tengo famiglia”.
La misura è colma ed il popolo è ad un passo dal prendere i forconi. Al crepuscolo di questa legislatura abbiamo la possibilità di cambiare profondamente questo paese, facendo sì che non mutino solo le facce al potere, ma anche i metodi. Non è solo necessario abbattere i costi della politica e di tutto il pubblico apparato, ma è doveroso introdurre regole che permettano la massima trasparenza sulla gestione della cosa pubblica. È imperativo che stampa e comuni cittadini possano accedere con chiarezza e semplicità su come vengono spesi i proventi delle asfissianti tasse, dagli appalti al funzionamento ordinario di enti e istituzioni. Non sono più ammissibili sprechi e inefficienze macroscopiche nella gestione della cosa pubblica come quelle segnalate quasi quotidianamente dalla cronaca e concentrate soprattutto al Sud, divenuto simbolo negativo di uno stato assistenziale.
Dobbiamo sforzarci di costruire una società orizzontale, responsabile e con regole eguali per tutti, abbattendo una volta per sempre quella verticale, figlia di una mentalità familistica e di clan. L’origine di tutte le mafie, lo specchio del nostro Paese, la causa principe del nostro possibile fallimento.
Paolo Visnoviz, 19 agosto 2011
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