In merito a quanto recentemente esposto da Mario Colella con il suo “Trionfo del moralismo” direi che si possano saltar a piè pari le considerazioni sui cosiddetti “tifosi” della varie fazioni, in quanto sarebbe tempo perso. Della fine politica di Berlusconi e del berlusconismo farei, invece, una distinzione.
È palese il fallimento del Governo e della linea politica che in esso s’intendeva incarnata, non ultimo, come rilevato da Colella, proprio con la pessima, recente manovra finanziaria.
Ma ciò non rappresenta ed esaurisce in toto il berlusconismo. Questo è fenomeno più vasto e complesso e non mi riferisco alla sola rivoluzione comunicativa da egli introdotta con l’avvento della seconda repubblica, bensì ad altri due importanti fattori.
Il primo è quello di essere riuscito a coagulare intorno alla sua figura un popolo di centro-destra, prima frammentato e inesistente. È vero che alcune componenti sono uscite dalla compagine (Casini e Fini), ma rappresentano forze comunque minoritarie che non sono state in grado di scalfire il primato del Pdl come primo partito d’Italia. Solo ora e solo tramite l’etereo strumento dei sondaggi parrebbe che il Pd sia passato in testa.
Il secondo dato è la conseguenza del primo, avendo l’unificazione delle forze di centro-destra costretto la politica italiana ad assumere un assetto bipolare. Si può considerare ciò come un fatto positivo o negativo, preferendo l’antica configurazione consociativa, ma l’avvenuta mutazione politica è stata sostanziale e innegabile. Questo è quanto io intendo per berlusconismo e spero vivamente sopravviva a Berlusconi stesso e rappresenti una eredità che non verrà dispersa.
Non vedo, invece, come si possa far passare per “lettura moralistica” una crisi che ha le sue ragioni nella mancanza di fiducia dei mercati verso “l’Azienda Italia” e il suo mostruoso debito pubblico. L’aritmetica non è un fatto né etico, né morale, nemmeno è oggetto d’opinione, essendo inconfutabile.
Il motivo del debito può, invece, essere opinabile. Infatti l’incremento del passivo di bilancio non è sorto per investimenti strutturali, per la costruzione di strade o ferrovie, ponti o investimenti nella ricerca, nella scuola, nell’università e nemmeno sono state potenziate le strutture comunicative per abbattere il digital divide o per sviluppare la banda larga. Niente di tutto questo. Il debito è esploso per gli aumenti incontrollati di sanità, previdenza, pessima gestione delle aziende di Stato, assunzioni indiscriminate a carattere clientelare, ecc.
Purtroppo buona parte di questi dannosi comportamenti sono radicati al Sud. Non c’entra nulla il leghismo, Facci, né tanto meno le mie ben più modeste opinioni. Basta dare una scorsa ai dati del Cerm per scoprire che la sanità, per esempio, è ai primi posti delle graduatorie per costi e agli ultimi per qualità. La migrazione dei pazienti per farsi curare negli ospedali del Nord esiste e vi sono treni interi che ogni settimana partono ancora dalla Sicilia, che ho visto con i miei occhi, per depositare una moltitudine di persone negli ospedali di Bologna, Padova, Milano, Torino. Non occorre accennare nemmeno alla questione irrisolta dei rifiuti in Campania o in Sicilia, alla situazione del lavoro precario usato come leva elettorale, alla criminalità, ecc. Basta scorrere i rapporti Istat, o si crede siano pure quelli di matrice leghista? Sono dati di fatto inconfutabili, purtroppo cronache quotidiane, è non vi alcun malanimo ad indicarli, anzi, l’esatto opposto. Si vorrebbe queste cose abbiano finalmente termine, proprio perché si ama l’Italia tutta, non solo il proprio campanile. E a tutta l’Italia fanno danno, non solo al Sud. Non si comprende la reazione di alcuni abitanti del Mezzogiorno che, appena si denunciano questi fatti, s’indispettiscono quasi venissero investiti dalle accuse in prima persona. Non c’interessasse ce ne staremmo zitti. Questo status quo non cambierà senza lo sforzo di tutti e non basteranno avventuristiche proposte di tax rate al 20% che tutti vorrebbero, non solo al Meridione, ma che sono irrealistiche.
L’Italia conta poco nella politica internazionale e anche le decisioni che la riguardano vengono prese da altri, si dice. È probabilmente vero, ma lo è da sempre, a meno che non si voglia andare indietro fino all’epoca degli antichi romani o considerare l’infausto periodo fascista. Non difendere Gheddafi è stato un errore, certamente. Ma ci si poteva schierare contro gli Usa, la Francia, l’Inghilterra, senza contare vari e potenti poteri interni, Napolitano in primis? Non so dare una risposta, ma per quanto lo avessi auspicato, obiettivamente sarebbe risultato piuttosto impervio per chiunque, non solo per Berlusconi.
L’Europa è finita, Berlusconi è finito. Sono anni che molti vanno ripetendolo, ma Berlusconi, seppur malconcio, è ancora in sella e l’Europa è ancora lì.
È una brutta Europa, monetaria, nemmeno finanziaria, figuriamoci se unita politicamente e così com’è non piace a nessuno. Non c’è dubbio.
Ci sono però due sole alternative: o più Europa, combattendo per costruire una Europa-nazione, o fuori da questa, ritornando ad essere uno Stato indipendente. Nel primo caso non si tratta solo di unire i debiti, bisognerebbe prima armonizzare le spese statali e la pressione fiscale, ovvero costruire un’Europa politica. Chi, vivendo in modo parco e oculato, metterebbe in comune il proprio stipendio per affrontare i costi di una casa da condividere con degli scavezzacolli che pensano solo a scialacquare? Nessuno, ovviamente, mica solo i tedeschi.
Nella seconda ipotesi, ovvero quella di ritornare ad essere uno Stato autonomo, non è nemmeno immaginabile una sopravvivenza a carattere autarchico (mancanza di materie prime e non solo), ma neanche è possibile immaginare un’Italia mediterraneo-centrica sganciata dall’Unione. In primo luogo siamo stati sorpassati, per influenza nell’area, dall’interventismo anglo-francese che ha ridisegnato gli assetti dei paesi a Nord del Sahel. Secondariamente se, come pare, di pari passo alle varie primavere arabe avanzerà l’islamizzazione, l’Italia avrà più probabilità di divenire prima linea sul fronte dello scontro tra civiltà piuttosto che partner commerciale per il Nord Africa.
Denunciare quello che non va in fondo è semplice, proporre delle soluzioni è, invece, molto più difficile, anche perché, per essere credibili, bisogna ottenere il consenso altrui. Quindi, dopo le denunce degli errori commessi, invito Mario Colella ad indicarci quali soluzioni immagina.
Paolo Visnoviz, 18 settembre 2011
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