Confesso di non essere tra quelli che si disperano di non essere andati direttamente al voto. È certamente vero che l’attuale governo è espressione dei maneggi di Re Giorgio, del Pd, del Terzo Polo, di potentati economici sovranazionali e pure di frange interne allo stesso Pdl, ma non c’era alternativa. Siamo finiti in trappola e non mi riferisco alla crisi economica, al pretesto dello spread e al clima da terrorismo dei mercati imperante. Piuttosto la causa è la crisi della politica e della classe dirigente di questo Paese della quale il commissariamento non è altro che la conseguenza.
Quanto accaduto non è la sconfitta della democrazia, ma di una idiota partitocrazia. La politica paralitica cui abbiamo assistito per anni non è da imputarsi al solo ultimo governo Berlusconi, ma era evidente pure nel precedente governo Prodi. È stato giusto modificare la legge elettorale introducendo il premio di maggioranza per sperare di garantire maggior governabilità, ma quell’intenzione è rimasta efficace solo fino allo scrutinio, successivamente tradita da congiure di Palazzo. Fini è stato in questo uno dei primi e massimi esponenti. Il reclutamento dei Responsabili ha fatto il resto, mettendo in balia l’esecutivo – già paralizzato al suo interno – di labili forze mercenarie.
L’inaudito attacco giudiziario-mediatico, l’uso strumentale degli indici di Borsa, le pressioni internazionali hanno solo dato il colpo di grazia ad un sistema malato che deve essere ripensato in toto. Non è strettamente necessario mettere mano alla riforma elettorale, basterebbe una maggior partecipazione democratica d’indirizzo meritocratico all’interno dei partiti. Bisognerebbe che questi trovino il coraggio di dire di no ai professionisti della politica, a quelli che del consenso personale – ottenuto spesso con metodi clientelari – fanno mercato.
Bisogna cambiare con coraggio, ma con intelligenza, evitando le strumentali trappole referendarie dove una eventuale introduzione delle preferenze non farebbe altro che peggiorare la situazione, aumentando i costi delle campagne elettorali, rafforzando i rapporti clientelari, spingendo ancor più a puntare su candidati che abbiano già acquisito notorietà. Nessuna preconcetta preclusione a personaggi che dal mondo dello sport o dello spettacolo vogliano impegnarsi in politica, ma i mezzibusti li abbiamo già avuti e non ci hanno aiutato a fare bella figura. Di converso, una maggior partecipazione democratica all’interno dei partiti dovrebbe impedire velinismi.
Berlusconi ha affermato di voler raddoppiare i suoi impegni. Ben venga, ma lo faccia circondandosi di persone nuove e di alto profilo. Promuova cenacoli e simposi con i migliori pensatori italiani ed europei, divenga propulsore di nuove idee piuttosto che preoccuparsi di emulsionare l’acqua con l’olio: il risultato sarebbe comunque una miscela eterogenea. Tentazione questa che dovrebbe essere lontana pure da Angelino Alfano: inutile voler unificare forze moderate se parte di queste sono comandate da saltimbanchi della vecchia politica. Il risultato potrebbe anche essere elettoralmente positivo, ma si correrebbe nuovamente il rischio di vincere per non governare. Questo ragionamento, mutatis mutandis, vale per ogni forza politica, ognuna delle quali dovrebbe approfittare di questo periodo di supplenza per riorganizzarsi.
Nel frattempo a tale esecutivo sorretto da una convivenza forzata bisognerebbe offrire una leale collaborazione piuttosto che cercare di influenzarlo con dei pizzini per tentare di ottenere qualche vicepresidenza. Non sapremo mai con certezza se il foglio mostrato ai fotografi dal presidente del Consiglio Mario Monti sia stato frutto di una distrazione o meno. Dalla sequenza fotografica, velocemente scomparsa dalle prime pagine de La Repubblica e il Corriere della Sera, commentata con molta benevolenza, non sembrerebbe un atto superficiale e inconsapevole. Difficile interpretare la mimica facciale del premier, ma la plateale gestualità e l’ostentato sbandieramento del messaggio sembrano fin troppo evidenti. Inoltre, sarebbe pure interessante sapere cosa fosse scritto nel post scriptum, ben visibile in almeno un paio di scatti, ma illeggibile alla risoluzione pubblicata. L’originale fotografico quasi certamente ne permetterebbe agevole decodifica, purtroppo di quel contenuto non ci è giunta notizia alcuna. Si chiama libertà di stampa, anzi, in questo caso libertà di pubblicare solo quello che fa comodo.
Abbandonando queste infelici vicende e ritornando in tema, se si fosse andati subito al voto probabilmente si sarebbe consegnato il paese al caos di una compagine di sinistra, disomogenea e incastrata nelle opposte visioni politiche di Antonio Di Pietro e di Nichi Vendola, ritornando punto e a capo. Ma anche nell’improbabile caso avesse vinto nuovamente il centro-destra non sarebbe andata molto meglio. Ci saremmo ritrovati davanti ad film già visto, di vaga tendenza splatter, con nuovamente al governo un Pisanu, un Bondi, uno Scajola e uno Scillipoti forse sottosegretario alla Sanità. C’è da sperare quindi che alla fine del governo Monti la situazione nelle varie compagini si sia chiarita, stabilizzata per quanto possibile e svelenita nelle opposte tifoserie.
La democrazia rappresentativa assume il suo massimo significato al momento del voto, quando il popolo sceglie da chi vorrà essere governato. Sono anni che a quel giorno troppi elettori arrivano tappandosi il naso, non sarebbe il caso ci arrivassero pure vomitando.
Paolo Visnoviz, 19 novembre 2011
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