Mi avete veramente rotto i coglioni. Voi italiani. Tutti. Presidente del Censis in primis, che stila il rapporto annuale sottolineando – giustamente – di come l’Italia umili i giovani, salvo poi nominare come successore alla guida di questo istituto suo figlio.
Non c’è giornalista che lavori in Rai, Mediaset o qualche prestigiosa testata che non sia figlio di giornalista. Non c’è attore che non sia figlio di attore e così via, da incarico a professione, mentre tutt’attorno non si sente pontificar d’altro che di meritocrazia. Per gli altri.
A dir il vero qualche eccezione a questa regola c’è, questo nel caso in cui il soggetto da sistemare sia figlio di qualche politico. Allora il posto, e lo stipendio, si possono addirittura scegliere.
Il problema è che manca il lavoro, si sente dire. Vero. Ma l’idea che la classe dirigente ha creato del lavoro è distorta, drogata fin dall’inizio, nella nostra stessa Costituzione dove si dice che l’Italia sia un Paese fondato sul lavoro (art. 1) e che questo sia un diritto (art. 4). Balle. Il lavoro non è un sacro diritto, ma una necessità. Esattamente come l’acqua, il cibo, il sesso. Nessuno però si sognerebbe di reclamare una puttana per diritto (politici a parte). Lo Stato non deve dare acqua o elargire cibo, ma solo garantire il libero accesso a questi.
Il lavoro è l’esercizio di un mestiere o di una professione, atti a soddisfare bisogni individuali o collettivi ed ha come fine l’ottenimento di obiettivi specifici, tornaconti, compensi. Se il mercato non ha bisogno di alcuni beni o servizi, inutile continuare a produrre quei beni o fornire quei servizi. Dovrebbe essere lapalissiano. Invece la politica fa esattamente questo: crea lavoro dal nulla, per nulla. Fine a se stesso, anzi fine a se stessa, la politica. È così che si creano generazioni di clientes. È così che, nonostante quanto si veda ogni giorno tra scandali, scempio di pubblici denari, i nostri denari, ci sia ancora gente che ha il coraggio di recarsi alle urne, continuando a leggittimare questa classe politica corrotta. Perché, a differenza delle dichiarazioni indignate, oltre al “piove, governo ladro”, nel privato sono ladri tutti, per piccole o grandi convenienze.
Un mio amico, di cui tacerò il nome per pietà, quando era dipietrino si è fatto assumere da una società parastatale grazie al padre sindacalista, successivamente si è licenziato ed è divenuto grillino, andando a lavorare nel privato, ma facendo fatturare alla moglie per non perdere l’assegno di disoccupazione. Ed è solo uno dei milioni che scendono in piazza a gridare contro la mafia da mafioso, contro l’evasione da ladro.
Almeno 3,5 milioni di pubblici dipendenti sono indignati e chiedono una seria lotta all’evasione fiscale, al riparo da ogni affanno derivato dalla crisi, salvaguardati nel loro stipendio, nel loro diritto alle ferie e ai certificati di malattia che le prolungano. Protetti da sindacati che si stracciano le vesti per l’art. 18, salvo avvalersi di collaboratori pagati in nero. Paladini di diritti inesistenti altrui, per meglio rubare nel privato, come tutti. Non è superficiale generalizzazione, è la spietata fotografia dello stato di fatto. E non c’è scampo.
Non c’è opera pubblica che non abbia costi esorbitanti, anche tre volte il valore di mercato, quando va bene. E quando va male, rimangono i costi senza nemmeno l’opera. Ce ne accorgiamo con difficoltà, perché i numeri in gioco sono folli, talmente enormi da non riuscire a riportarli sul piano umano, comprensibile; e gli episodi sono talmente tanti da non aver nemmeno il tempo di indignarsi per uno scandalo che subito viene seppellito da un altro. Idem per i servizi: da terzo mondo per qualità e galattici per spesa.
Attendere che la politica riformi se stessa, che quel partito sia meglio di un altro, è pura illusione. La politica nostrana è l’arte di sottrarre denaro a chi lavora, è furto all’ennesima potenza, è ladrocinio. È il mestiere di rubare a molti per dare a pochi. Amici e parenti quando è sfacciata, categorie sociali quando è “onesta”, per continuare a perpetuare se stessa. La riduzione delle tasse che Renzi sbandiera – e altri prima di lui – funziona sempre con il meccanismo delle detrazioni, il che significa lasciare invariati o aumentati gli attuali livelli di pressione fiscale per tutti, salvo dare dei contentini ad alcuni: gli amici.
Non rimane altra strada che rifiutarsi di pagare le tasse, tutte. Fare la massima attenzione a non prendere multe, rendersi invisibili al fisco, tenere conti correnti all’estero. Insomma: difendersi. E se scoperti, fare ricorso. Invece di pagare le sanzioni, intasare i tribunali. Con la consapevolezza che ogni tassa pagata è una cozza pelosa regalata. Affamare e paralizzare il sistema, per farlo implodere. Ogni altra soluzione è collusione.