La situazione politica nel Pdl rischia di sfociare in una rissa. Si è assistito ieri, nella trasmissione di Gianluigi Paragone “Ultima Parola”, a degli scontri verbali di rara violenza. Quasi come se a confrontarsi fossero avversari politici di schieramenti diametralmente opposti, mentre i partecipanti erano tutti appartenenti al Popolo della Libertà.
La richiesta di maggior democrazia all’interno del partito, legittima, è però fatta dai finiani con modalità inaudite, e danneggia fortemente l’immagine e la stabilità del partito, rallentando inevitabilmente l’azione del Governo. E’ ben chiaro però che il problema strillato da Fini & C. è solo un paravento che non riesce più a celare il vero motivo dell’insofferenza: l’antiberlusconismo e l’antileghismo.
La minaccia di costituire dei gruppi parlamentari autonomi sembra infrangersi sulla pochezza dei numeri, talmente esigui da mettere a rischio il raggiungimento della quota necessaria per porla in essere. Ciò impone una riflessione. Se i numeri fossero realmente così modesti, che razza di politico sarebbe Fini?
Senza andare a scavare in epoche politiche geologiche, basta ricordare le sue dichiarazioni all’annuncio del predellino, le famose “comiche finali”, salvo poi accettare di fondere An nel Pdl. In un crescendo di dichiarazioni polemiche, fuori onda, fondazioni, generazioni, ha dissolto e depauperato il non piccolo patrimonio di consensi della fu Alleanza Nazionale, consegnandola a Berlusconi ed indirettamente rafforzando la Lega di Bossi. Non era così difficile prevederlo ed ancora adesso risulta incomprensibile quella scelta se l’odio verso Berlusconi è di tale intensità. Odio che oggi si palesa solo per il raggiungimento della soglia di sopportazione, ma in realtà vivo e serpeggiante da molto tempo.
Eppure la nuova vita politica di Fini esiste grazie allo “sdoganamento” ad opera proprio di Berlusconi nei confronti di An e del suo schierarsi a sostegno di Gianfranco nella corsa elettorale per l’elezione del sindaco di Roma. Il Corriere uscì con un memorabile titolo: “Il Cavaliere Nero”, gesto che spiazzò il panorama politico italiano. Forse la riconoscenza non si usa, però saper fare i propri calcoli è obbligatorio e Fini ha sbagliato su tutta la linea.
Ha consegnato An a Berlusconi, ha scommesso sulla sconfitta del Pdl alle scorse regionali ed ora minaccia una scissione senza avere neppure i numeri per poter concretizzare il tutto. Insomma, non ne ha azzeccata una che sia una.
Questo però apre un problema imprevisto: la mancanza di numeri decorosi impedisce l’uscita dal Pdl di Fini. Difficile immaginare che i dissidenti possano accettare di lasciare il partito di centro-destra per entrare nel gruppo misto. L’autostima di questi è talmente alta, infatti, che una simile decisione non sembrerebbe percorribile. In assenza di un congresso (francamente inutile) o di una qualsiasi conta, possono continuare ad affermare che la maggioranza degli italiani è schierata con le loro idee, continuando a millantare credito.
Si dicono orgogliosi di ottenere consensi dall’Annunziata, addirittura ottenendo il plauso di Travaglio. Fanno finta siano segnali indicanti il percorrere la giusta strada, quella di una destra colta, illuminata, liberale, laica e moderna. In realtà tutto meno che una destra, a meno che l’Annunziata, nel frattempo, non abbia cambiato casacca.
Lo scontro in atto ha raggiunto dei livelli non più accettabili, ma da una parte i finiani non vogliono e non possono uscire dal partito, dall’altra non si vogliono buttare fuori. Una soluzione bisognerà ben prenderla, però: la base non ne può più. E tutti, finiani o meno, non vedono l’ora che la separazione si compia.
Se a Fini non giungerà un aiuto esterno (si pensi a Montezemolo, Parisi, Casini), non rimarrà altri che a Berlusconi risolvere la questione. E prima lo farà, meglio sarà per tutti.
Pubblicato su Freedom24
17 aprile 2010