INTERCETTAZIONI. E LA GIUSTIZIA?

“La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia”. Fosse ancora vivo Basaglia, padre della legge 180 e autore di queste parole, oggi sarebbe felice. Mai come ora, in Italia, la follia è accettata quanto la ragione.

Non riesco, infatti, ad immaginare Gordon Brown acquistare una pagina del Corriere della Sera per denunciare David Cameron di mettere in pericolo la libertà in Inghilterra. Invece da noi è possibile e non ha destato neppure troppo scandalo che Antonio Di Pietro, nel luglio del 2009, abbia scritto su The Guardian che la democrazia italiana sia sotto scacco.

Pare difficile immaginare un processo a carico di Aznar per collusione con l’ETA, assolto, condannato, anzi prescritto, colpevole un po’ si e un po’ no.
In Italia invece si può. Andreotti, assolto in primo grado dall’infamante accusa di concorso esterno in associazione mafiosa (reato quasi mistico e dagli inquietanti risvolti), verrà assolto e prescritto nel processo d’appello; ovvero sarà riconosciuto mafioso fino al 1980, ma poi smise. Diabolico il meccanismo che, vista la formula di successo, verrà ripetuto anche in altri processi con protagonista Silvio Berlusconi. Di fatto vengono inserite nel dispositivo della sentenza le tesi della pubblica accusa ma, giungendo a prescrizione, queste tesi rimarranno per sempre agli atti, incancellabili, inconfutabili, inappellabili, anche se penalmente irrilevanti.
Una condanna alla prescrizione, ad uso politico e mediatico.
Andreotti ci rimise la Presidenza della Repubblica in favore di Oscar Luigi Scalfaro, certamente il peggior Presidente di tutti i tempi, con l’hobby di schiaffeggiare pubblicamente le signore troppo scollacciate e con un inizio di carriera giuridica agghiacciante.

Difficile immaginare un altro luogo dove un decreto del Governo possa essere tranquillamente ignorato da una Procura, quella di Siracusa, evidentemente dotata di un tribunale efficientissimo e privo di procedimenti pendenti da anni, tanto da avere il tempo di prendersi la briga di mettere sotto accusa un’intera corvetta di uomini della Intendenza di Finanza, rei di aver applicato la politica dei respingimenti.

A sentire la presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro, l’altro giorno a Palazzo Madama nella dichiarazione di non partecipazione al voto sull’intercettazioni telefoniche, lo scenario che si prospetta sarà da incubo: i giornali non pubblicheranno più nulla, gli editori (anche Piersilvio) verranno trascinati alle carceri in manette, rinchiusi e buttata via la chiave, in compagnia dei giornalisti.
Enrico Letta profetizza un Vietnam per il Governo, Di Pietro ha tentato di occupare il Senato.
Niente di nuovo, normali toni da isteria ai quali nessuno fa ormai troppo caso. Toni talmente alti e sguaiati da porre il sospetto di essere solamente propagandistici, diretti ad ottenere una facile visibilità.

La situazione è in realtà molto meno drammatica di quanto venga dipinta. La legge di riforma delle intercettazioni nasce dalla necessaria evidenza di porre un freno a dei veri e propri abusi, a dei processi mediatici rivelatesi devastanti per chi li ha subiti (colpevoli o meno). Una legge che è in discussione da anni, con entrate ed uscite dalle commissioni, nel tentativo di trovare un possibile compromesso. Ad accordo fallito, non rimane che procedere oltre: la maggioranza disponga.

Ci saranno molti scontenti, pazienza. Il Governo deve governare, non cercare il consenso delle opposizioni. La legge dovrà ancora attraversare Montecitorio dove potrà subire dei cambiamenti. Poi Napolitano dovrà apporvi la sua firma. Quando sarà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, probabilmente qualche giudice solleverà la costituzionalità della stessa presso la consulta, forse Di Pietro si metterà a raccogliere firme per un referendum abrogativo. Nulla di nuovo. Normale iter democratico.
Qualora l’odio ideologico non dovesse comunque spuntarla con questi strumenti, ci sarà sempre la possibilità che qualche procuratore interpreti le nuove norme stravolgendole completamente.

Ci furono polemiche al calor bianco anche per la legge elettorale definita “una porcata” dal suo stesso primo firmatario, Roberto Calderoli, attuale ministro. Eppure quella bistrattata legge, nata con l’intento di garantire la governabilità, si sta dimostrando efficace e da tempo non si ode più la fastidiosa litania del “bisogna cambiare la legge elettorale”. E’ possibile, certamente auspicabile, che anche questa riforma delle intercettazioni subisca lo stesso destino, in attesa delle prossime eccessive urla: quelle per il cambiamento del funzionamento della Giustizia.

Pubblicato su Freedom24

13 giugno 2010

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