Di oggi la notizia di Bruno Vespa condannato in via definitiva (terza civile) per diffamazione dei due pm napoletani (24mila euro di risarcimento ciascuno) che avevano ordinato l’arresto del manager Vito Gamberale, poi assolto.
L’oggetto del contendere è stato un passaggio del libro del famoso giornalista “La Sfida”.
Le motivazioni addotte indicano che al giornalista non basta riportare fedelmente le parole dell’intervistato, avendo anche il dovere di controllare la veridicità delle circostanze riferite e la continenza delle espressioni, mantenendo comunque sempre una “posizione imparziale” e ancora «(l’intervista) era punteggiata da domande di cui appariva ovvia la risposta, nonché accompagnata da notizie allusive, da sottintesi, da ambiguità tali da ingenerare nel lettore la convinzione della rispondenza al vero dei fatti esposti».
Quindi un giornalista deve essere responsabile delle dichiarazioni di un intervistato, verificandone l’autenticità delle stesse e quindi limando, omettendo oppure stralciando (taroccando, insomma) parti delle dichiarazioni che suppone non veritiere. E chi glielo dice che non sono veritiere quelle dichiarazioni? Il Mago Otelma?
Sempre detto giornalista dovrebbe evitare che le sue domande possano apparire allusive, ambigue e piene di sottintesi. Magari chiedendo prima ad un PM.
Ammesso e non concesso Vespa sia stato veramente parziale, non mi sembra ciò sia (ancora) reato.
E’ una sentenza che assomiglia troppo ad una censura per protezione di casta, fatta da giudici che evidentemente mai hanno letto nulla di Travaglio o mai hanno visto alcuna trasmissione di Santoro, oppure, proprio l’esatto opposto.
Uno vecchio slogan recitava “la fantasia al potere”. Quasi. E’ il delirio ad essere arrivato al potere. Sì, quello dei magistrati.
Pubblicato su Freedom24
21 luglio 2010
A leggerla così, sembrerebbe uno scherzo.
Già e invece…