La situazione politica è un guazzabuglio senza pari. Da qui ai prossimi giorni, forse ore, nessuno può sapere come evolverà. Di certo Berlusconi non vuole mollare e userà tutto il fine settimana per cercare di recuperare almeno una decina di parlamentari. Anche ci riuscisse, la situazione non cambierebbe. I problemi non sono i numeri in Parlamento, ma sorgono ben prima dato che dal Consiglio dei Ministri – dal quale doveva uscire il decreto-Europa, fotocopia della lettera della Bce -, non è uscito proprio un bel nulla, costringendo Berlusconi a presentarsi al G20 a mani vuote. Quindi l’esecutivo è paralizzato già al vertice, con laceranti contrapposizioni che vedono coinvolti in primis il ministro Tremonti e il presidente del Consiglio, con l’aggiunta di una spintarella di Re Giorgio, che nei momenti clou non manca mai.
Ammesso l’analisi sia corretta, ciò comporterebbe la logica conseguenza di prendere atto dell’impossibilità di procedere e, di conseguenza, di rassegnare immediatamente le dimissioni. Ovviamente questa ipotesi non sembra essere presa in considerazione dal Premier, pertanto per un suo passo indietro non rimane che l’alternativa della sfiducia in Parlamento.
Posto che i frondisti riescano nell’intento che non riuscì a Fini in un politicamente lontanissimo 14 dicembre, sono solo due gli scenari possibili, come da Costituzione. La verifica da parte del Presidente della Repubblica dell’esistenza di una nuova maggioranza e, in caso positivo, della conseguente nomina di un nuovo presidente del Consiglio o la via delle elezioni.
Entrambe sono situazioni che presentano numerose incognite. Nel caso di tentativo di dar vita ad un nuovo esecutivo lo scoglio principale sarebbe ancora l’attuale Premier: la pattuglia berlusconiana al Senato è troppo coesa e numerosa, almeno per il momento, per essere estromessa. Pure alla Camera la caduta del Governo non indicherebbe l’automatico costituirsi di una nuova maggioranza. E anche se la congiura di Palazzo riuscisse, sarebbe per fare cosa?
Le truppe cammellate dell’opposizione, più altri pezzi che eventualmente proverrebbero dall’esecutivo ormai dissolto, di certo non prenderebbero a riferimento la lettera della Bce, piuttosto virerebbero su di una inutile patrimoniale. Inutile per entità e per modalità, in quanto provocherebbe un gettito modesto e sarebbe applicabile solo una tantum. Probabilmente ritornerebbe in auge la riforma elettorale, dato che l’attuale è gravata da un referendum per la cui ammissibilità deve ancora pronunciarsi la Corte Costituzionale. In ogni caso non sembra che detto scenario possa far sperare di ottenere in breve le riforme necessarie a tranquillizzare i mercati e a rilanciare il Paese.
Rimane la via del voto, logicamente la più lineare e trasparente, ma scegliendo questa strada bisogna essere consapevoli che per parecchi mesi non sarà possibile attuare alcuna riforma, essendo l’esecutivo congelato ad occuparsi solo di amministrazione ordinaria.
Ricapitolando: il Premier vorrebbe le riforme, ma non è in grado nemmeno di portarle in Parlamento per faide interne della sua stessa maggioranza; le opposizioni vogliono la testa di Berlusconi, ma non sono in grado costituire una compagine omogenea né di fare una credibile proposta di governo alternativa; le elezioni forse non le vuole veramente nessuno.
Rischiamo così di ritrovarci come in Grecia, con un Papandreu dato per spacciato, contro il quale tutti hanno inveito, ma che alla fine ha riconquistato la fiducia. Ma questo, oggi, nessuno può dirlo. Una sola cosa è certa: qualsiasi soluzione uscirà dalla crisi rimarremo al palo ancora a lungo.
Paolo Visnoviz, 5 novembre 2011
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