La decisione del Governo di negare a Roma la possibilità di concorrere per le Olimpiadi del 2020 è una scelta dolorosa, ma pragmatica. Certifica il fallimento di un sistema-paese che è sotto i nostri occhi. È una resa incondizionata all’incapacità di costruire qualcosa di pubblico, utile alla collettività, in modo trasparente e onesto. È la morte di un sogno per molti e una delusione per quanti già intravedevano la possibilità di lauti guadagni, profittando di un evento di rilevanza mondiale, con i pubblici finanziamenti. Mario Monti, forte di innumerevoli esperienze storiche negative, sapendo di non essere in grado di poter garantire trasparenza e un bilancio positivo per un evento di tale rilevanza, ha preferito dire no.
Colpa delle “cricche”, vere o presunte che siano? Colpa della mancanza di leggi adeguate? Colpa delle poche risorse per gli organi di controllo? In breve, colpa della corruzione come certificato oggi dalla Corte dei Conti. La responsabilità è quindi – per estensione e logica conseguenza – anche della magistratura, incapace di opporvisi. Magistratura che continua pervicacemente a sprecare tempo e risorse per processi che non avrebbero mai dovuto nemmeno iniziare, come quelli comunemente denominati Mills o Ruby & C.
Fino a quando alcuni requirenti saranno guidati dall’ideologia e monomaniacalmente perseguiteranno nemici politici invece dei criminali, non saranno in grado di svolgere con assenza di pregiudizio la loro funzione, trascurando il loro lavoro per inseguire sogni di gloria o pedagogici intenti di moralizzare la società, secondo propria visione.
Certi magistrati sono talmente usi all’impunità derivata dal loro ruolo da pensare di poterne profittare anche fuori dalle aule di tribunale. Non senza qualche ragione, dato che anche in questi casi corrono rischi limitati e solo quando commettono errori plateali rischiano qualche timida reprimenda, come quella comminata ieri dal Csm ad Antonio Ingroia.
La vicenda è nota. Il 30 novembre 2011 il pm palermitano partecipò ad un congresso dei Comunisti Italiani, lanciandosi in un vero e proprio comizio culminato nell’affermazione: «non mi sento del tutto imparziale. Anzi, di più: mi sento partigiano […] perché sono socio onorario dell’Anpi […] I partigiani […] ci hanno dato questa Costituzione […] sono quindi […] un partigiano della Costituzione.». Seguì un coro di critiche, dove pochi ebbero la sfacciataggine di difendere Ingroia, tra questi – ma non è una notizia – Travaglio, che per farlo ha letto a suo uso e consumo – come tante altre volte – le stesse dichiarazioni del pm. A suo tempo ne parlammo. Evidentemente non sbagliammo ad indignarci se l’inopportunità di quella partecipazione e di quell’intervento è stata ravvisata anche dal Presidente della Repubblica e addirittura dal Csm, organo sembrato troppo frequentemente più attento a tutelare la magistratura piuttosto che ad esercitare funzione di controllo sulla stessa.
Con queste armi spuntate, con l’impossibilità di ottenere garanzie che le Olimpiadi del 2020 potessero divenire un affare per il Paese e non si trasformassero invece nel solito opaco intreccio tra politica e comitati d’affari, a Monti non è rimasto che gettare la spugna.
Difficile garantire il buon funzionamento di una macchina amministrativa con una parte della magistratura impegnata a perseguire strabici fini politici, ma è una lunga storia. Una storia che affonda le sue profonde radici molto indietro nel tempo e che si conclamò con “Mani Pulite”, dove un pm come Gerardo D’Ambrosio presentò a sorpresa una fotocopia di un preliminare di vendita per l’acquisto di una casa di Roma in via Tirso 83. Documento mai trovato in originale, ma che bastò per scaricare la responsabilità solo su Primo Greganti, salvando l’allora cassiere del Pds Marcello Stefanini e il Pds stesso. Caso raro – se non unico nella storia – di un pm che si prese la briga di condurre una contro-inchiesta in favore di un inquisito, danneggiando un altro collega, all’epoca Tiziana Parenti.
Era il 1993. Primo Greganti, anni dopo, verrà condannato a 3 anni in via definitiva. L’allora Pds sarà colpito solo di striscio, Tiziana Parenti finirà in Forza Italia e Gerardo D’Ambrosio, dopo una brillante carriera, è tutt’ora un felice senatore del Pd.
“Mani Pulite”, di fatto, si spense il 6 dicembre 1994 con le dimissioni di Antonio Di Pietro e l’antecedente restituzione di 100milioni prestatigli dall’inquisito Giancarlo Gorrini, in contanti, arrotolati in fogli di giornale. Da non confondere con analoga vicenda del ’95, ma riferita ad un prestito ricevuto da Antonio D’Adamo, sempre per 100milioni, questa volta riportati nella famosa scatola di scarpe. Di Pietro, dopo un incarico come Ministro dei lavori Pubblici nel governo Prodi del 2006 e dopo essere divenuto senatore ed europarlamentare, nel 1998 fonderà l’ “Italia dei Valori”, nome che c’azzecca alla perfezione, parrebbe.
Mentre ricorre il ventennale di “Mani Pulite” la corruzione sembra più diffusa che mai, più sfacciata e pervasiva di un tempo ed è questa la vera causa – assieme a clientele, nepotismi, ecc. – di ogni deficit di bilancio e del disastroso stato economico del Paese. Proprio di questi tempi scandali e corruttele investono in pieno la sinistra e dintorni, sempre autodefinitasi “moralmente superiore”. Bisognerà vedere se Filippo Penati, Luigi Lusi e Orfeo Goracci, tutti attualmente al centro di varie vicende giudiziarie, si faranno carico di ogni responsabilità – novelli “compagni G” – o riveleranno catene di correità che porterebbero ad esiti oggi imprevedibili.
Nel frattempo niente Olimpiadi. Peccato. Forse bisognerà attendere un nuovo Bettino Craxi e il suo coraggio di denunciare in Parlamento «Basta con l’ipocrisia! tutti i partiti si servivano delle tangenti per autofinanziarsi, anche quelli che qui dentro fanno i moralisti». Chissà se adesso, a differenza di allora, qualcuno si alzerebbe da quei scranni per dire che è vero oggi come era vero ieri. Solo riconoscendo la realtà si potranno trovare delle soluzioni, altrimenti la politica continuerà ad essere una guerra per bande – di interessi o malaffare, fate voi.
Quel momento sembra ancora lontano e le inchieste, non tutte, continueranno ad essere strumentali, mentre nel Paese a troppi piacerebbe ancora lanciare le monetine come al Raphael. Sempre e solo verso i bersagli di un’unica parte.
Paolo Visnoviz, 16 febbraio 2012
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