Sono contento, Luigi, che sia finita bene e che non si sia fatto male nessuno. Bravo, nonostante la disperazione sei rimasto abbastanza lucido da non fare gesti irreparabili. E bravo pure quel carabiniere che è stato lì con te, a parlare, a convincerti che non ne valeva la pena. Forse nei suoi occhi hai visto i tuoi, il riflesso della stessa fatica, del lavoro mal pagato. Non poteva essere lui il tuo nemico, non è lui “il Potere” che ti ha messo in ginocchio. Queste cose le sai. Non sei né un no global né un no Tav che si scaglia contro le forze dell’ordine o li sfotte chiamandoli “pecorella”. E pure quell’ultimo ostaggio, quell’impiegato, in fondo è un povero Cristo come te, solo con la fortuna di avere un impiego. Probabilmente è un lavoro che non fa con piacere e forse nemmeno ai suoi amici confessa di lavorare all’Agenzia delle Entrate.
Diverso sarebbe stato se avessi incontrato la direttrice di Equitalia Torino, Matilde Carla Panzeri, che è pure presidente di una società privata di Milano dove cura l’acquisizione di immobili, la riscossione di crediti in sofferenza, il finanziamento terzi, ed è leader nella cartolarizzazione dei crediti bancari. Cosa significa? Che da una parte pignora le case, dall’altra se le compera a prezzi stracciati. Rileva mutui, debiti e castelletti vari offrendo riconsolidamenti. Ovvero fa la strozzina e sa pure che clienti prendersi, a colpo sicuro. Tutto legale, visto che della vicenda – indiscrezioni giornalistiche a parte – altro non si è saputo. Per fortuna l’ostaggio non era lei. Per fortuna tua, non sua ovviamente. I pallettoni quando spiaccicano una merda schizzano dappertutto e ti saresti sporcato.
Sono contento che tu sia ancora vivo, Luigi, anche se non ti conosco. Morire per questo Stato non ne vale la pena. Hai 54 anni, ho letto da qualche parte. Quindi sai come si viveva solo pochi anni fa. Eri piccolo negli anni ’60, ma te lo avranno raccontato, come lo hanno raccontato a me, che erano anni d’oro. L’Italia e stata fatta in quel ventennio, dai ’50 ai ’70, parrebbe. Chi voleva lavorare poteva ancora costruire qualcosa. Si produceva per sé stessi, migliorando le cose per tutti e lo Stato non chiedeva ancora troppo. Si viveva bene. Poi, nel ’73, venne la prima botta, accolta quasi con divertito stupore: la prima vera crisi petrolifera causata dalla Guerra dello Yom Kippur, la chiusura di Suez, l’aumento delle royalty, ecc. L’austerity, la chiamarono. Prendemmo paura. Finì l’entusiasmo. Ci rendemmo conto che gli arabi, se s’incazzavano, potevano lasciarci a piedi e spegnerci le lampadine. Quello fu il principio della fine, lenta ma inesorabile. Gli anni che seguirono furono un’agonia. Quando adottammo l’Euro eravamo ormai stremati e speravamo che l’Europa ci avrebbe salvato. Era un bel sogno. Bellissimo: la caduta dei confini, potersi muovere liberamente da Lampedusa fino a Helsinki, un’unica valuta. Invece stavamo infilando da soli la testa nel cappio, ma non lo sapevamo ed eravamo felici. Forse non felici, ma fiduciosi. Ci hanno fregato. Capita.
Adesso però l’importante è mantenere il sangue freddo, per quanto difficile possa essere il momento. Sono contento, Luigi, che non ti sia ammazzato pure tu e anche ad altri, a troppi altri che si sentono perduti bisogna dire loro di non suicidarsi, di aspettare. Non manca molto. Mario Monti sta imponendo sacrifici colossali a tutti. Anzi, ai soliti noti, cioè alla parte produttiva della nazione. Ma sta ottenendo l’effetto opposto. Aumentando a livelli mai visti prima le accise sui carburanti si è perso gettito, dato che si sono ridotte le vendite di prodotti petroliferi. I consumi in ogni settore sono calati a minimi storici, le aziende chiudono, la disoccupazione aumenta. Tra fiscal compact, Spread, Efsf e spesa pubblica corrente sostanzialmente invariata il debito pubblico sta ancora aumentando e viaggia, ormai incontrollato, verso altitudini stellari. Ovvero, le misure del governo Monti stanno aggravando la situazione, non la stanno risolvendo. Tutto ciò in un contesto di una crisi mondiale pesantissima, dove noi siamo un vaso di coccio tra vasi di ferro.
Guardati attorno: c’è ancora gente che va in ferie, fa la gita domenicale, il week-end lungo, va al ristorante; ma non sono imprenditori (quelli veri, non quelli da salotto con santi in Parlamento), artigiani o commercianti, le classi solitamente considerate borghesi e benestanti in ogni altro Paese normale. No, sono dipendenti pubblici e vanno a pranzo con i soldi di quelli che producono. E pochi sono arrivati a quegli incarichi per merito. È finita. I soldi sono finiti. Quelli veri, quelli prodotti da una normale economia non ci sono più, perché si è fermato tutto. Lo Stato vive di Stato, come a Cuba. Fino a quando? Fino a quando riuscirà a vendere titoli, fino a quando la Bce aprirà il portafogli per dare soldi alle banche affinché comperino il debito pubblico. Quanto durerà non si sa, ma ragionevolmente non a lungo.
Quindi bisogna stringere i denti, tirare la cinghia perché questi parassiti sono anch’essi giunti a fine corsa. Nel frattempo non si deve suicidare più nessuno, quella determinazione va piuttosto impiegata per eludere il fisco, intestare le case a nonni, zii e nipoti nullatenenti (i politici lo fanno da sempre, esattamente come i mafiosi), bisogna salvare i torni, le pialle, tutti i macchinari. Nasconderli, se necessario. Serviranno. Quando questa genìa sarà finalmente estinta, bisognerà ricostruire l’Italia, forse l’Europa. E non la ricostruiremo con gente come i Lusi, i Penati o i Tedesco, non con i Fini o i Casini (che i Lusi li hanno voluti), di certo non con Goldman Sachs e i loro tirapiedi, ma con persone come te, Luigi.
Paolo Visnoviz, 4 maggio 2012
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