Il Pdl parte con lo slogan “format”, ad indicare l’azzeramento per successiva reinstallazione della classe dirigente. Operazione che in informatica ben conosce chi usa sistemi sotto-evoluti, quali Windows. SysOp (Sistemi Operativi), corrotti e corruttibili, soggetti a logoranti cure e manutenzioni, obbligati ad usare antivirus per evitare di infettarsi. Per loro stessa struttura deteriorabili al punto da rendere necessarie cicliche operazioni di “format” e “reinstall”. Operazioni che non possono – in alcun modo – essere lanciate dal SysOp stesso, ma che per avere successo devono essere eseguite esternamente: non è previsto che il vertice formatti se stesso.
Le operazioni che partono al contrario non possono andare a buon fine. È necessario si invertano i termini dell’equazione: chi sta sul palco deve scendere in platea. La dirigenza può rimanere a pontificare, microfono in mano, linguaggio grottescamente giovanilistico a spiegare i suoi stessi insuccessi, ma allora non chiamatela “formattazione”, bensì “auto-assoluzione”: avete chiamato a riparare il Pc un cattivo tecnico che, invece di risolvere il problema, cerca di convincervi vada tutto bene.
Se con “la cultura non si mangia” diceva – sbagliando – un mai troppo criticato Tremonti, allora e a maggior ragione si può affermare che con il “semi-presidenzialismo alla francese” non si vincerà. Imprenditori, precari, esodati, tartassati e imuizzati non fremeranno di gioia per scendere in piazza e nelle urne per dare fiducia ad una compagine che si pone un obiettivo così ambizioso quando, in vent’anni, non è riuscita a fare nemmeno la riforma del condominio.
Dall’altra parte c’è Grillo, su piattaforme Linux, inattaccabile da virus, incorrotto dal potere perché il potere mai lo ha avuto e quindi non triturabile da alcuna macchina del fango, come dei leghisti qualsiasi. Non ha proposta politica, e quella che ha fa rizzare i capelli in testa a qualsiasi persona di buon senso, ma possiede la comunicazione e un nuovo metodo. Berlusconi sconfitto da Berlusconi, la televisione sconfitta da Internet. Ma non basta decidere di usare di più la Rete per recuperare consenso, per evitare d’essere spazzati via. Non basta, se non si cambia metodo e comunicazione, pena siti e blog deserti. Belli ma vuoti ed inutilizzati.
“Bomba o non bomba arriveremo a Roma” è il messaggio. Semplice, efficace, mediaticamente perfetto: veicolabile da Youtube come da nonna Tv. Attenzione, però: non è un problema di media. Il media non è il messaggio. È solo il messaggio che conta. Le astruse targettizzazioni, invenzioni del merketing del marketing, sono un’autoconsolatoria balla. È Rai4 contro Rete4: l’ispettore Callaghan contro Dexter*. Un’altra storia contro la solita storia. E ad Alfano, sono sicuro, l’ispettore Callaghan piace ancora.
Paolo Visnoviz, 27 maggio 2012
* L’ispettore Callaghan era una saga cinematografica imperniata sulle indagini di un ispettore di San Francisco, interpretato da Clint Eastwood. Arguto, dai metodi rudi e violenti, ma giusto che svolgeva funzione di poliziotto e giudice. Il meccanismo è ben noto: il cattivo, veramente cattivo, alla fine del film verrà trafitto dalle pallottole del giusto Callaghan, dando al pubblico sollievo e soddisfazione. Format primitivo che ha funzionato per decenni nei cinema e nelle Tv di tutto il mondo. Tutt’attorno però, nella società reale, le cose non andavano così e la criminalità, spesso impunita, dilagava. Nacque allora “Il giustiziere della notte”, tratto dal romanzo omonimo di Brian Garfield e interpretato sullo schermo da Charles Bronson, che si spingeva ancora più in là: un privato cittadino, giusto anche lui, ammazzava i cattivi che la polizia non riusciva a catturare. Anche qui il pubblico usciva dalle sale soddisfatto: il mondo era cattivo, Callaghan non esisteva, ma forse qualcuno dei morti ritrovati nei vicoli era vittima di una giustizia più efficace quanto sbrigativa.
Più o meno su questi grandi canovacci – con mille varianti – si sono prodotti migliaia di film e telefilm. Poi venne Rai4 del folle Freccero e ci fece conoscere Dexter Morgan: tecnico della polizia scientifica, ma in realtà un feroce serial killer dotato di codice etico, che ammazza solo i cattivi. Il serial killer buono che ammazza i serial killer cattivi. È un inedito ed è completamente diverso il messaggio portato dai suoi due predecessori citati. Non è più l’eroe buono, moralmente incorruttibile, dotato di senso di giustizia quasi soprannaturale, ma è la malattia che si riconosce e uccide se stessa. L’eroe della società contemporanea non è “super”, ma è malato, senza speranza, consapevolmente. Il “bene” è morto e il “male” si cura omeopaticamente.