È evidente ci sia una parte del Paese che pubblicamente si straccia le vesti per la crisi, per la recessione, che non si stanca di affermare quanto la situazione sia grave e poi, di fronte ai moti di piazza, ai forconi, ai trasportatori, agli artigiani, ai disoccupati e ai commercianti cade dal pero.
«Cosa vogliono questi?», si chiedono. «Sono grillini, comunisti, fascisti, ultras… non ci capiamo nulla.», continuano. «Non è il modo giusto di protestare. Speriamo di non incappare in qualche blocco perché ho da lavorare, andare a prendere il figlio a scuola, fare la spesa, ecc…».
È gente che parla della crisi ogni giorno, ma che in realtà, questa crisi, non li tocca più di tanto, non la vivono sulla propria pelle. Sono ben rappresentati da giornalisti come Gerardo Greco di Agorà che, durante un collegamento con un presidio di manifestanti, tolse loro subito la linea commentando – con disprezzo – «Va bene, abbiamo capito. Non diamo più loro la parola.» “Brutta gente!”, avrà pensato certamente, visto l’espressione di disgusto che ha fatto trasparire senza nemmeno sforzarsi di nasconderla. Quei poliziotti che si sono levati il casco, però, hanno capito benissimo con chi avevano a che fare: in piazza c’erano il meccanico sotto casa; il contadino dal quale comperano le mele al mercato; lo zio della sorella del collega da due anni disoccupato; l’ex commerciante del negozio sotto casa, chiuso un anno fa, ecc.
La protesta è confusa? Certamente. Non ci sono rivendicazioni chiare? No. Questo potrebbe pensarlo solo chi è abituato a non ragionare, a catalogare quanto accade attraverso i filtri della semplificazione giornalistica. Quanto sta accadendo ha un nome: rivolta. Non è ancora rivoluzione, ma è certamente il germe di una rivolta. E una rivolta mette dentro di tutto: dagli agricoltori agli artigiani, dai disoccupati agli esodati, non ha la bandiera di alcun partito, ma è un moto spontaneo. Tutti accomunati dall’essere rovinati da questo stato. Da uno stato che è capace di chiedere ad una qualsiasi ditta individuale circa settemila euro solo per consentire di avere una partita iva (inps, inail, commercialista, adempimenti fiscali vari). Ovvero, se vuoi fare il ciabattino devi avere 7 mila euro da dare allo stato, prevedere di pagare un affitto, un contratto di corrente (che, chissà perché per una partita iva costa più che per una famiglia), un telefono (che, per una partita iva costa il doppio rispetto ad un privato cittadino), un conto corrente (che ad una ditta costa uno sproposito solo di bolli), una pec, perché un ciabattino senza posta certificata che ciabattino mai sarebbe?, ecc. Solo per dire: inizio a lavorare. Solo per dire: questo è quanto devo pagare per lavorare in perdita o per raggiungere il pareggio, perché se poi anche guadagnassi dovrò pure pagare le tasse. Per pagare le tasse in questo paese bisogna essere ricchi, o per lo meno benestanti. Gli status symbol, si sa, costano. Vuoi gli occhiali di Lapo o l’iPhone? Mica te li danno gratis. Costano. Così le tasse.
Maurizio Lupi si è dichiarato stupito di come sia partita la protesta, nonostante abbia promesso degli sgravi sulle accise carburanti per gli autotrasportatori. Ecco come ragiona chi governa: un obolo qui e un obolo lì, ma non rompeteci le scatole che abbiamo il problema di Grillo in Parlamento, le primarie del Pd e dobbiamo fare fresco a Letta e ad Angelino. Questa gente non vuole oboli: vuole essere lasciata in pace, vuole poter vivere del suo lavoro. È brava gente, che sa fare il suo mestiere, ma vive in uno stato che gli impedisce di farlo perché gli prosciuga tutte le risorse. Non parliamo di grandi e nemmeno medie aziende – quelle hanno gli strumenti per difendersi: commercialisti, fiscalisti, castelli di società, accesso a contributi regionali, europei, ecc. -, parliamo di artigiani, piccoli commercianti, padroncini, agricoltori. Qualcuno afferma siano dinosauri, figure destinate a scomparire a causa della modernizzazione, destinati ad essere spazzati via dalla globalizzazione.
Va benissimo. Volete questo, volete che queste categorie scompaiano? Allora assumeteli tutti. Date loro un posto nella pubblica amministrazione. Non è questo cui ambite? Sono anni che vi sentiamo ripetere “lavoro, lavoro, lavoro”. Ecco, adesso avete l’occasione di far star tranquillo tutta questo popolo che protesta, trasformandoli di colpo da ladri ed evasori in virtuosi dipendenti pubblici, quelli-che-non-possono-evadere. Come dite: “non si può”? Allora lasciate vivere la gente. Come? Semplicemente abbattendo la spesa pubblica, riducendo la pressione fiscale e semplificando la burocrazia. Non è difficile, siete voi politici ad essere incapaci o, più semplicemente, in malafede e non volete farlo. Questa gente non chiede aiuto, ma solo di non essere vessata. Altrimenti le sommosse si trasformeranno presto in rivoluzione.
Paolo Visnoviz, 10 dicembre 2013
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