Intervista a IMD, elemento di punta della squadra “Catturandi” di Palermo
I.M.D. è un poliziotto, anzi, uno sbirro. Elemento di punta della Squadra Catturandi di Palermo, un pugno di uomini che hanno compiuto in questi anni una sequenza impressionante di arresti di pericolosissimi latitanti: dai Lo Piccolo a Giovanni Brusca, da Carlo Greco a Bernardo Provenzano e tantissimi altri.
In questi momenti alcuni di voi stanno subendo gravi minacce personali, il team è a rischio? Le minacce ci sono sempre state, sono cicliche e noi ci conviviamo. Certamente queste ultime, per la tipologia con cui sono state fatte, sono piuttosto inquietanti. Ovviamente però, le indagini continueranno nonostante tutto. Parliamo d’altro.
Ci sono degli aspetti del Suo ultimo libro, “100% SBIRRO”, che mi hanno non solo colpito, ma indignato. Mi riferisco all’episodio accaduto al suo collega Vittorio che, inseguendo Carlo Greco, distrusse una scalcinata Y10. La Corte dei Conti – ritenendolo responsabile dell’incidente a causa della guida spericolata (un inseguimento si può fare rispettando i limiti di velocità?) – gli mandò un conto salatissimo, pari al valore di una automobile nuova. Pure scandaloso risulta il fatto, non raro, vi sia capitato di finanziare di tasca vostra delle spese necessarie per il prosieguo delle indagini. Adesso, sotto questo profilo, com’è la situazione? La mia vena da componente del SIAP, una delle più importanti sigle sindacali della Polizia di Stato purtroppo non mi abbandona mai, ed anche quando scrivo e racconto le mie “avventure”, come in “100% SBIRRO“, traspare a volte l’amarezza e la rabbia per tante storture che vorrei non esistessero in una Amministrazione come quella della Polizia di Stato, per lo più fatta da gente meravigliosa e capace di grandi opere. Ma, rispondendo alla sua domanda, devo dire che poco o nulla è cambiato da allora ad oggi. Purtroppo, certe spese sono imprevedibili e non sono iscrivibili a bilancio, in quanto sono conseguenze imponderabili di esigenze investigative. Spesso siamo costretti ad anticipare personalmente il denaro ed aspettare i lunghi tempi della burocrazia per i rimborsi. La cattura di Gianni Nicchi a Palermo, avvenuta il 5 dicembre, o per quella di Domenico Raccuglia avvenuta prima ancora ha richiesto un grosso impegno, tradotto in molte ore di lavoro straordinario. Il pagamento del 50% di quanto dovuto – voci di corridoio affermano – ci verrà forse corrisposto a settembre, quasi nove mesi dopo. Sono tempi ancora rapidi in confronto al pagamento degli straordinari resisi necessari per la cattura di Bernardo Provenzano, corrisposti con due/tre anni di ritardo, dopo proteste anche di piazza e l’intervento dei sindacati di polizia.
Un trattamento ingiusto, con l’aggravante di penalizzare una squadra quale la vostra che rappresenta una delle punte di diamante degli organi di polizia per impegno e risultati ottenuti. Non essere adeguatamente ricompensati può essere demotivante, soprattutto per altri settori delle forze dell’ordine che, per incarichi e competenze, possono avere minori motivazioni. Sarebbe necessario, più in generale, investire maggiormente sulla professionalità delle forze di polizia che si tradurrebbe in maggiore garanzia di sicurezza e legalità per tutti i cittadini.
Le intercettazioni ambientali e telefoniche sono state determinanti per i successi da voi conseguiti. Da tempo si discute di una riforma di questi strumenti investigativi in direzione di una maggior tutela della privacy del cittadino. Visto che la legge non è ancora stata modificata vuole fare un appello? Sono degli strumenti di indagine fondamentali ed importantissimi. Bisogna essere saggi e valutare il confine tra il loro uso legittimo e quello distorto, che può minacciare la privacy del cittadino. La legge attuale non è una cattiva legge, sebbene migliorabile. Quando abbiamo l’esigenza di indagare uno o più soggetti dobbiamo rivolgerci ad un PM, il quale rilascia un decreto d’urgenza che deve essere autorizzato dal GIP. Questo richiede circa 48 ore e la validità del decreto è di 40 giorni con successivi rinnovi ogni quattro settimane, senza scadenza. Aspetto per noi molto importante, in quanto nel caso della caccia ai latitanti abbiamo bisogno di tempi lunghi. È praticamente impossibile che dalle conversazioni dei mafiosi emerga qualcosa di chiaro e diretto. Infatti cerchiamo di comprendere le loro abitudini di vita, di capirne la routine, per poterci mettere in allarme quando qualcosa di anomalo ed insolito dovesse manifestarsi. Una modifica dell’attuale legge nella direzione di porre un termine di fine intercettazioni definitivo sarebbe per noi un grosso limite.
Già ora abbiamo le nostre difficoltà, infatti quando il decreto di proroga giunge in ritardo non è infrequente che l’operatore telefonico ci scolleghi l’intercettazione in corso. Figuriamoci cosa accadrebbe se chi dovesse disporre l’autorizzazione fosse un collegio di tre giudici i quali dovrebbero trovare tempo e luogo per riunirsi e discuterne il merito. I tempi burocratici sarebbero insopportabili. Non lo strumento d’indagine si dovrebbe colpire, ma l’uso che delle intercettazioni viene fatto, a volte troppo disinvolto e strumentale. Bisognerebbe punire i responsabili della violazione del segreto d’ufficio, comprendere dove stanno le falle ed intervenire. E’ un reato che prevede fino ad un anno di reclusione e tre anni di sospensione dal servizio, ma non viene fatto.
Nel Suo libro racconta di come un episodio casuale – una Sua visita in banca, il riconoscimento di un soggetto già sotto controllo e del suo amichevole rapporto con il direttore – abbia fatto emergere conti correnti intestati ad ignari cittadini, fidi ingiustificati, ecc. Il direttore fu ovviamente denunciato e licenziato. Qual’è il grado di collaborazione che avete nella lotta alla mafia con gli istituti di credito? In realtà è un rapporto monodirezionale. Le banche sono solamente tenute per legge a segnalare alla Guardia di Finanza movimenti di somme oltre ad un certo importo. Il direttore della banca invece potrebbe segnalare eventuali anomalie, ma questo non succede quasi mai, è suo interesse far sì che chi movimenta grosse somme di denaro non abbia troppe difficoltà. Siamo sempre noi che chiediamo accertamenti nei riguardi di persone sotto indagine, richiedendo a tutte le banche d’Italia lo stato finanziario del soggetto.
Immagino i tempi… Alcuni istituti sono molto tempestivi nel risponderci, altri meno. Molto meno.
I molti latitanti che avete catturato hanno ridisegnato l’organigramma della mafia siciliana. Ora rimane da catturare quello che è considerato tra i primi cinque latitanti al mondo, con più di 50 omicidi alle spalle: Matteo Messina Denaro. Dopo gli arresti dei Lo Piccolo, Raccuglia e, soprattutto, di Provenzano è indubbio che il ruolo di Matteo Messina Denaro sia divenuto predominante per carisma e potere finanziario per lo meno nella Sicilia occidentale.
Si dice che Matteo Messina Denaro sarebbe depositario di un archivio della mafia, qual’è la vostra idea al riguardo? Noi non pensavamo che Bernardo Provenzano potesse conservare molti “pizzini” nel suo covo. Trovarli fu per noi una sorpresa e quei biglietti ci aiutarono molto a comprendere meglio vari intrecci. Preso Provenzano pensavamo che gli altri latitanti non ripetessero lo stesso errore, invece con l’arresto di Lo Piccolo trovammo una valigia piena di foglietti e addirittura un libro mastro con l’elenco di tutti quelli sottoposti al pagamento del pizzo. E’ probabile quindi si tratti di una esigenza organizzativa, ma Matteo Messina Denaro è una persona molto scaltra ed accorta e credo che queste catture abbiano invece a lui insegnato qualcosa. Non credo troveremo nulla quando lo arresteremo, ma è anche possibile che questo archivio esista e si trovi in un altro luogo rispetto al suo covo.
Qual’è il grado di collaborazione con le polizie di altre nazioni? Con gli ultimi accordi l’operatività è migliorata molto, almeno in ambito europeo. Per esempio abbiamo recentemente catturato un latitante siciliano tramite la gendarmeria francese su segnalazione di quella spagnola. Tutto ciò con il supporto di nostri agenti che fungevano da interpreti per la polizia iberica, in quanto il latitante parlava in dialetto siciliano con i suoi contatti. Quando andiamo all’estero non siamo operativi, ma siamo sempre in supporto alla polizia locale. Diversi sono i casi di intervento fuori dal territorio europeo, perché le difficoltà aumentano in quanto in certi Paesi il reato di associazione mafiosa non è contemplato.
In questi casi i servizi segreti italiani sono d’aiuto? I servizi segreti collaborano attivamente con noi e spesso ci passano preziose informazioni. Ovviamente, proprio per loro natura, di ciò non viene data notizia. Però la collaborazione c’è ed è proficua.
Il rapporto con l’Arma dei Carabinieri è di concorrenza o c’è sinergia? Usualmente c’è della sana concorrenza. Quando questa sfocia in rivalità è perché la procura che ci coordina tiene, per così dire, un piede in due scarpe. Quando c’è uno scontro o una sovrapposizione è quasi sempre un problema di coordinamento tra magistrati. A Palermo non abbiamo avuto dei grossi problemi anche se è innegabile che c’è della concorrenza in quanto come esiste la sezione catturandi della polizia, esiste pure quella dei Carabinieri dei ROS. Il loro ultimo latitante di rilievo preso è stato Totò Riina, avvenuto nell’ormai lontano 1993. Tutti gli altri arresti “eccellenti” sono stati messi a segno dalla “catturandi” e questo è probabilmente dovuto al tipo di struttura ed organizzazione del nostro ufficio. Forse disponiamo di una marcia in più.
Nel nostro ordinamento le indagini sono gestite dai PM. Preferireste forse che queste fossero coordinate da un organo di polizia? Dipende molto dal tipo di PM. Ce ne sono alcuni che ci sono molto vicini e partecipano attivamente alle indagini, spesso aiutandoci a districarci nella loro complessità. Altri invece rimangono più distanti e le inchieste vengono svolte interamente dalla polizia giudiziaria. Questo è quanto prevede la legge e trovo sia una giusta garanzia per i cittadini che le indagini della polizia vengano controllate dalla magistratura. Quando il PM è esperto e preparato tutto funziona molto bene, quando il magistrato è ancora inesperto è la polizia giudiziaria che in un certo senso lo guida.
Cito dalla sua ultima pubblicazione “100% SBIRRO“: “[…]ricordo il mio sdegno quando scoprii con sommo stupore che un ministro della Repubblica di allora si occupava indirettamente della difesa di Fardazza [Vito Vitale, nda]. Giusy [sorella di Vito, arrestata in seguito pure lei, nda] lo chiamò al cellulare mentre era in Parlamento. […] Mi pare […] al limite dell’indecenza che la sorella di un latitante possa contattare via telefono persino un ministro […] per parlare della situazione processuale del fratello.” Ecco, la penso anch’io come lei. Il nome di questo ministro? Tralasciamo questa domanda, manca solo che mi metto a fare nomi di ministri. Questa è una delle cose che la gente vorrebbe sapere, ma devo attenermi al mio ruolo e lascio ad altri l’incombenza di certe risposte. Noi abbiamo riferito all’autorità giudiziaria e se questi non vi hanno individuato elementi di rilevanza penale la storia è chiusa.
I Vostri successi hanno contribuito in modo determinante a risvegliare la coscienza civile dei Palermitani e non solo. Penso alle associazioni quali Addiopizzo e altre. Sono solo dei fuochi di paglia o è una presa di posizione, un cambiamento di coscienza che si sta radicando sul territorio? Sono dei movimenti che si stanno radicando sul territorio, è una presa di coscienza sincera ed è un passo in avanti rispetto alla situazione di solo pochi anni fa. Dai media a volte pare si tratti di un fenomeno vastissimo, ma è piuttosto un germoglio. Associazioni come “Addiopizzo”, “Ammazzateci tutti”, “Libera”, ecc. – alcune più, altre meno – sono espressioni che partono dal basso, ma che devono ancora crescere. Cercano di coinvolgere la società civile, anche con successo, ma siamo proprio agli inizi e non possiamo cantare vittoria. Ancora oggi molti cittadini subiscono il pizzo, molti sono collusi a vario grado con la mafia e quindi siamo ancora lontani da una vera e propria rivoluzione culturale.
Esiste, secondo l’idea che Lei può essersi fatto, un accordo tra Stato e mafia? Da quello che dalle nostre indagini è emerso, qualcosa di strano sembra ci sia. Nel caso Provenzano, per esempio, i Carabinieri scoprirono delle talpe in Procura. Una segretaria di un magistrato e due sottufficiali, uno della Guardia di Finanza e uno dell’Arma dei Carabinieri che operavano al nostro fianco – nel senso che partecipavano attivamente alle indagini sul campo dei loro rispettivi uffici – riferivano sistematicamente a Provenzano. Ed in Procura, per chi sa guardare e ascoltare non è impossibile farsi un’idea sullo stato delle indagini di un altro organo inquirente; d’altronde, non è difficile sbirciare un decreto appoggiato sul tavolo dell’ufficio intercettazioni.
Questo però potrebbe significare l’esistenza di “normali” mele marce, non di vero e proprio accordo tra Stato e mafia… Certamente, però quando qualcuno riesce a rimanere latitante per tanto tempo, pur essendo ricercato da mezzo mondo e quando il cerchio sembra ormai chiuso e questo riesce comunque, all’ultimo momento, a sfuggirti… fa pensare. Fa pensare a coperture maggiori che non alla semplice opera di qualche mela marcia. Prove di questo accordo non ne ho, ma la mia sensazione è che qualcosa ci sia stato. Penso alle dichiarazioni di Spatuzza o Ciancimino che – seppur non sempre veritiere – fanno intravedere uno spaccato di un periodo del quale qualcosa di anomalo emerge. C’è ancora molto da scoprire, ma ribadisco, queste sono sensazioni più da scrittore che da poliziotto.
Il 4 settembre I.M.D. sarà a Sessa Aurunca (Caserta) con Pino Maniaci di Telejato a presentare il libro “100% SBIRRO”. La location prescelta è un terreno confiscato alla mafia.
24 agosto 2010
Interessante. Solidarietà ed ammirazione per la squadra Catturandi!
Interessante intervista