CONDIZIONI MINIME

Ricordate? Erano finite le elezioni da un po’ e tutti invocavano un governo, qualunque fosse. Ci volle un mese e mezzo e la rielezione di Napolitano a presidente della Repubblica perché ciò accada. E che governo!, il governo Letta, il governo delle larghe intese, o meglio, dell’intesa di non avere intese. Di pacificazione, pure. Questo sì: così pacifico da sembrare morto di quanto è immobile.

condizioni_minime

C’era quindi bisogno, estremo bisogno, di avere un governo, un governo che non governi, ma che attenda con pazienza e con speranza che l’Europa conceda il decadimento della procedura d’infrazione per eccesso di deficit. Nel frattempo, governo e parlamento, avrebbero potuto operare per evitare le altre multe idiote che l’Europa ci ha appioppato perché il nostro Paese non è riuscito ad adeguarsi alle normative comunitarie. Almeno.

Multe colossali per infrazioni che vanno dalla “limitazione da parte della Federazione Italiana Nuoto del numero di giocatori di pallanuoto cittadini dell’UE”, al non rispettare le condizioni per la “coltura di Oryza Sativa”, alla non corretta applicazione europea sulle “condizioni minime per la protezione delle galline ovaiole”, alla cattiva applicazione della direttiva europea “per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli ascensori”, e ancora la “protezione degli uccelli selvatici”, “la vaccinazione contro la febbre catarrale degli ovini” e il “mancato trasferimento di risorse proprie conseguenti all’importazione di banane”.

Verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere, dato che le infrazioni per i motivi più disparati e spesso idioti contestati all’Italia sono circa un centinaio, e ci costano circa 3,5 miliardi di Euro. Non è che per evitarle bisogni fare chissà cosa: basterebbe copiare le norme emanate dalla Ue. Come fanno gli asini a scuola. Asini sì, ma per copiare bisogna essere almeno furbi. Non l’unica dote che in questo parlamento, come nei precedenti, sembra latitare.

Non è però del tutto vero che questo esecutivo non stia facendo nulla. Quello che doveva fare lo ha fatto: fermare l’avanzata di Grillo. Impedire si propaghi ulteriormente l’antieurismo scontato, banale e populista. Forse non proprio disinteressato se, come pare, gli agganci del comico sono così ben radicati oltreoceano.

Oltre a tenersi la coperta europea ben stretta, di altre iniziative, Letta & C., non sembrano capaci, continuando a lasciare che ogni comparto produttivo vada allo sfascio, come pavidi sudditi incapaci di fare la benché minima obiezione al loro re. Ma per comandare in tal modo non c’è bisogno di così esosi apparati: basterebbe un podestà.

Paolo Visnoviz, 27 maggio 2013
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ROSICHIAMO

Siamo onesti: rosichiamo. Mi ci metto in mezzo anch’io che nemmeno voto, ma mi becco ogni volta del “berluscones” solo perché critico il Pd. E allora va bene: rosico anch’io. Lo ammetto.

rosichiamo

Rosico per la Serracchiani, la neo presidente della Regione FVG che a spoglio ancora in corso ha dichiarato: “Abbiamo vinto, ma senza Roma li avremmo asfaltati”. Noi rosiconi, ci saremmo accontentati dell’asfaltatura della terza corsia, per esempio. Magari senza distruggere quanto faticosamente fatto fin’ora solo per metterci i suoi fantaccini. Si chiamerebbe spoil system o meglio: “adesso la ciccia me la pappo io”, ma dato che l’operazione è fatta da quel genio della Serracchiani, allora non può che chiamarsi riqualificazione politica. La strada ha solo due sbocchi: la chiusura della struttura commissariale o l’affidamento del ruolo a un tecnico “puro”. Penati, per esempio, ha già una certa esperienza maturata grazie alla Milano-Serravalle. Fosse libero da altri, procurati impegni (nel senso di Procura della Repubblica), sarebbe perfetto.

E poi rosichiamo perché il Pd mica è un partito di plastica. Loro sono presentabili, non come quel puzzone lì. Non ci fanno fare brutta figura in Europa e nel mondo, loro. Prendi un Bersani, per esempio. Sì, quello che pare sarà il nuovo promoter della Moretti, la birra, ché la Alessandra lo ha deluso non votando Marini e il Nanni gli ha bocciato la smacchiatura del giaguaro. Ebbene, il Bersani, fece il giro delle 7 chiese andando in Europa e negli States a spiegare che, a giaguaro ormai smacchiato, avrebbero governato così e cosà. Iniziò il tour subito dopo la vittoria delle Primarie, quella splendida prova di democrazia data agli italiani e all’universo mondo per decidere chi sarebbe stato il prossimo segretario sacrificato al Berlusca. E le primarie come si fanno? Troppo facile far votare i tesserati, gli iscritti al Pd, no. Loro sono il Pd, la quintessenza della Democrazia, roba che Pericle era un fascista, quindi aperte a tutti, altrimenti l’immigrato dove lo metto? Aperte a tutti, tranne a quelli con la faccia da Renzi, s’intende. In fondo Aristotele era sì democratico, mica pirla.

Purtroppo, come recita un famoso detto: non dire smacchiato se non l’hai insaccato. Così, per due mesi, abbiamo rosicato a vedere il candidato Premier steso a pelle di Bersani pietire senatoriali voti ad un comico. Finì come sappiamo: prima segando Marini, poi facendo salire Prodi dall’Africa, impallinandolo in volo, come un tordo.

Rosichiamo eccome, quindi. Rosichiamo perché avremmo voluto essere lì a vedere la faccia della Merkel, di Barroso, di Hollande quando hanno detto loro che sarebbe venuto il nuovo presidente del Consiglio italiano e invece di Bersani si sono visti arrivare Letta, l’Enrico. «Willkommen, buenos días, bonjour… Pierluigi? Che occhi grandi che hai, hai pure gli occhiali…». «No, sono Enrico» disse il Letta «Bersani non si sente molto bene, ha un aspetto molto dimesso». «Urka!» disse la Merkel «però Berlusconi lo avete fatto fuori, nein?». «Ehm, quasi… ci stiamo lavorando.» rispose il nipote di Gianni «Dato che – come dissi un tempo – Berlusconi vale tot punti di spread, abbiamo ben pensato di farci il governo assieme.». Dalla figura di cucù, alla figura di pupù, insomma.

Come non rosicare, quindi? In pochi mesi sono riusciti a fare un governo a guida Dc, per segretario del Pd si apprestano a votare un Caronte socialista e sono riusciti a far ritornare il Pdl il primo partito d’Italia. Roba che, ad averla saputa, Goethe non avrebbe mai scritto del Werther, ma del Pd.

Paolo Visnoviz, 11 maggio 2013
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BLOCCO CULTURALE

Non riesco ad entusiasmarmi della rielezione di Napolitano, e ancor meno posso provare speranza per l’incarico dato a Enrico Letta. Il Paese è inchiodato, solo apparentemente, su due problemi: la mancanza di autosufficienza del Pd al Senato, e da un vasto blocco ideologico pervicacemente fossilizzato sul «Berlusconi mai».

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Il Pd non è esploso, è più forte che mai: chiagne fotte a chi ride. Ha solo liquidato l’ennesimo dirigente di partito e continua, come sempre, a occupare il potere. Mai come oggi tutte le prime cariche dello Stato sono in mano alle sinistre: presidenza della Repubblica, del Senato, della Camera e del Consiglio. Più di così, solo la Corea del Nord.

L’occupazione delle più alte poltrone ha solo reso visibile quanto, da anni, sta accadendo nel Paese. Non c’è una riforma, un tema all’ordine del giorno, un aspetto messo all’attenzione della pubblica opinione che non sia di taglio progressista, socialista, di sinistra. Berlusconi da sempre insegue, sistematicamente sconfitto su ogni proposta e su ogni tentativo di dare all’Italia delle norme di carattere liberal-annacquato, con l’andare del tempo sempre più diluite. Tronfio e vanesio qual’è si accontenta di sbandierare come vittoria la testa di Bersani (e che importa? Morto uno smacchiatore, se ne fa un altro), pago dell’ipotesi che finalmente una parte della sinistra accetti di parlare con lui, l’«impresentabile».

Nucleare? Affondato. Le disastrose, fallimentari – tecnicamente ed economicamente – politiche delle energie alternative? Bisogna spingere di più. Caccia agli evasori? Giusta e da perseguire. Politica internazionale, accordi economici ed energetici con Gheddafi, Putin, Erdogan, ecc.? Derisi come politica delle «pacche sulle spalle», smantellate con cieca sudditanza a vantaggio di Usa, Francia e Inghilterra, in cambio di incondizionato appoggio politico interno (vedi la mirabile orchestrazione della balla della bolla sullo spread): «una leadership straordinaria in Italia, in Europa e nel mondo», ha dichiarato recentemente Obama parlando di Napolitano.

Non c’è una sola riforma, nemmeno una, che in questi anni vada in direzione contraria, di stampo almeno vagamente liberale. Anche quelle poche cose fatte quando ha governato il centro-destra, con immani fatiche, combattendo contro proteste strumentali e bugie, sono state tutte demolite. L’Ici reintrodotta con l’Imu, vera e propria patrimoniale anche per i poveri; legge Bossi-Fini e politica dei respingimenti, già edulcorate dalla magistratura, avranno definitivo termine con le umanitarie attenzioni della Boldrini; il federalismo, ingabbiato in pastoie burocratiche che lo hanno reso inutile e, come se non bastasse, è stato auto-affondato dalla Lega con buffonate come quella dei Ministeri del Nord; devoluzione, riduzione dei parlamentari, fine del bicameralismo perfetto, aumento dei poteri del Premier introdotti da Berlusconi, miseramente schiantati da Prodi con un referendum nel 2006.

Il blocco è prima culturale che politico, dominato da una massa non pensante, stupida e ottusa, che ha pure la pretesa di primeggiare per intelligenza e sapere, convinta di essere depositaria della verità. Una massa che non cambia idea, nemmeno quando la realtà presenta loro il conto e dimostra che avevano torto: piuttosto cambiano cavallo e continuano imperterriti. Così è accaduto con Di Pietro, abbandonato per il nuovo, vecchio Grillo.

Nel dibattito per la successione di Napolitano non è mai entrato, nemmeno per un momento, un nome che non sia appartenuto all’area perbenista di questo Paese: Marini, Prodi, Rodotà. Si è costruita una alternativa finta, tra il pessimo e il peggio. E di questo pessimo dovremmo pure essere felici. Antonio Martino, vero liberale, persona di specchiate capacità e altissimo valore è stato supportato timidamente solo da alcune iniziative spontanee, nate sulla Rete. Berlusconi non l’ha mai nemmeno nominato e vederlo ridere felice della rielezione di Napolitano è stato imbarazzante. Certo, tanti osservatori l’hanno definita una vittoria di Silvio, ma è stato solo un abile inganno, un furbo espediente per far meglio digerire l’amara pillola.

Oggi, se si inizia timidamente a parlare di presidenzialismo è solo perché le sinistre si stanno rendendo conto di quale formidabile strumento di potere questo possa divenire, e quali vantaggi un loro uomo, al Colle, magari con poteri aumentati, possa portare alla sinistra. Idem la riforma elettorale, sempre da modificare, sempre «porcellum» quando si teme di perdere, ma comodissimo trogolo a cui ingrassare quando si pensa di vincere.

Non si possono, quindi, nutrire speranze per l’investitura di Letta e per le dichiarazioni di buon intento di lavorare per il popolo: balle. Si tratta come sempre di occupazione del potere per continuare a demolire il Paese, piegandolo alle solite fandonie che la sinistra insegue da sempre.

Paolo Visnovzi, 25 aprile 2013
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