Ma sì, sputazziamo anche sul Carroccio, finalmente possiamo dire “puzzoni” pure a loro: ladri come tutti, almeno secondo i pm. Poi si leggono le carte o meglio, le indiscrezioni giornalistiche perché di atti per il momento nisba, e troppe cose non tornano.
Prendiamo ad esempio il titolo de “Il Fatto Quotidiano” on line di oggi e leggiamo: “Il denaro dei rimborsi elettorali per cene, viaggi e lavori nella villa di Bossi”. E dove sarebbe il problema? Se fossero stati pagati viaggi e cene per il Senatur o per Rosi Mauro dove sarebbe il reato? Nemmeno per la supposta restaurazione della casa di Bossi con i soldi di partito si possono ravvisare estremi fraudolenti, a meno che non si voglia andar contro il pronunciamento della procura di Roma. I magistrati della Capitale avevano infatti stabilito che l’affair della casa monegasca che aveva coinvolto Fini non era da considerarsi frutto di “azioni fraudolente”, perché dei beni e dei denari del suo partito ne poteva disporre come meglio credeva. Non si vede perché per la Lega dovrebbe allora essere diverso, a meno di non ricorrere a pesi e misure diverse, ovviamente.
Da notare che all’epoca solo al momento dell’archiviazione si seppe che Gianfranco Fini era indagato, mentre nel caso della Lega i fuochi d’artificio sono partiti subito, con una azione a tenaglia portata avanti da ben tre procure, quella di Milano, di Reggio Calabria e Napoli. Manca solo Palermo e avrebbero fatto poker.
Spicca tra gli inquirenti il nome Henry John Woodcock, pm in forza alla procura di Napoli, già balzato agli onori delle cronache per l’inchiesta cosiddetta “Vip Gate” che coinvolse 78 persone, tra cui numerosi personaggi dello spettacolo, del giornalismo, due ministri, politici e funzionari di ministeri, Comuni ed Enti pubblici, accusati di associazione per delinquere per la turbativa di appalti, estorsione, corruzione, millantato credito e favoreggiamento, oltre ad altri reati secondari. Inchiesta risolta in una bolla di sapone. Successivamente il pm pose le sue attenzioni in Basilicata, occupandosi di intrecci tra criminalità e politica, mandando agli arresti ben 51 persone. Anche qui con scarsa fortuna, dati i pletorici annullamenti dei rinvii a giudizio che seguirono. Malissimo si concluse l’indagine anche su Vittorio Emanuele di Savoia, messo ai ferri per associazione a delinquere e sfruttamento della prostituzione, varie & eventuali: assolto assieme ad altri indagati con formula piena “perché il fatto non sussiste”. Poi ci fu “Vallettopoli”, dagli esiti non pervenuti, ma con una Gregoracci inviperita nei confronti del pm, che lo accusò di indebite “pressioni” durante un interrogatorio.
C’è da chiedersi se Woodcock sia capace di occuparsi anche di inchieste “normali”, come potrebbero essere gli scippi, le rapine, il traffico di droga o la criminalità organizzata – che a Napoli non sembrano manchino – o se il criterio con cui sceglie le indagini sia unicamente quello della visibilità mediatica. Da un punto di vista processuale, fossi leghista, mi sentirei tranquillo. Purtroppo il danno che ne può derivare non è quello delle aule di tribunale (Woodcock, come visto, ci arriva raramente), ma dalle pagine dei giornali, dove un titolo del Corriere o di Repubblica può immediatamente costare parecchi voti. Soprattutto se l’inchiesta deflagra mediaticamente proprio nel momento in cui parte la campagna elettorale per le amministrative.
Rimangono indubbiamente da chiarire alcuni comportamenti poco trasparenti di Francesco Belsito, l’ex tesoriere della Lega, sia per quanto riguarda le supposte “cappellate” di soldi ricevute (anche qui, per non avere conseguenze sarebbe stato meglio usare scatole di scarpe) e la sbarazzina gestione finanziaria all’estero. Potrebbero ravvisarsi delle similitudini con il caso Lusi, con distrazioni di fondi a fini personali, all’insaputa dei vertici di partito, o peggio. Qui la magistratura deve fare piena luce, ma solo su denuncia degli interessati, ovviamente. E anche se, come affermano i vertici della Lega, tutto è stato svolto a loro insaputa e quindi non sarebbero coinvolti negli spiacevoli risvolti della vicenda, rimane comunque una ineludibile responsabilità politica. Ma su questo fronte c’è già pronto Maroni, che con tempestivo e opportuno cinismo non vuole di certo farsi sfuggire l’occasione per prendersi il partito.
Non si può immaginare che la politica possa funzionare senza denari, però è necessario che i bilanci dei partiti divengano trasparenti (e proporzionati), affinché i fondi a loro disposizione non finiscano per ingrassare solo alcuni circoli di potere, ma servano veramente a “fare politica”. Anche per questo i partiti sono divenuti delle consorterie – tutti, non solo la Lega -, invece di svolgere quella importantissima, irrinunciabile funzione di cinghia di trasmissione tra il popolo e le istituzioni, fondamento di qualsiasi democrazia moderna.
Paolo Visnoviz, 4 aprile 2012
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