ROMA, ARCTIC RALLY

Roma, neve: è caos. E non c’è nulla di cui stupirsi, i romani non sembrano molto abituati a ghiaccio e bianche coltri, almeno non in queste quantità. Quello che infastidisce sono le polemiche seguenti ad un evento eccezionale che, per quanto annunciato, rimane comunque difficile da fronteggiare per una città che con la neve deve fare i conti una volta ogni trent’anni.

Certo, si sarebbe potuto prevedere di acquistare qualche centinaio di Unimog, dotati di frese e lame, cassonati e con spargisale incorporato, e avere pure qualche migliaio di tonnellate di sale nei magazzini. Tutto pronto alla bisogna, da usare una volta ogni trent’anni. Si sarebbero dovuti costruire marciapiedi con serpentine incorporate, riscaldabili, come a Stoccolma, sempre da usare una volta ogni trent’anni.

Poi, Alemanno avrebbe dovuto organizzare corsi di guida sulla neve per ogni cittadino, vista l’assoluta imperizia dei romani di guidare sulla coltre bianca e l’incapacità di montare le catene. “No, non quelle per giochini erotici, dovevi prendere quelle per l’automobile! Ah, le hai? Sono quelle che avevi acquistate per il viaggio in Germania, quello fatto con la Dyane scassata quando avevi vent’anni? Ti è forse venuto il sospetto che sulla Punto da tamarro, ribassata e con i cerchi da 16” potrebbero non andar bene?”.

Romani, ma dove andate se non avete idea di come si guidi sulla neve? Statevene a casa. Cause di forza maggiore: non si può andare a lavorare, punto. E ve ne rimanete al calduccio, piuttosto che improvvisarvi piloti da rallye sul raccordo anulare. Vi svelerò un segreto: si può spalare la neve con tutto l’impegno possibile, ma se continua a nevicare è piuttosto inutile. Si spreca solo gasolio.

Un tempo ero andato con degli amici in Austria per partecipare ad un schnee rallye di mezzi militari. Pur avendo preparato con cura il mezzo, pur con eccellenti pneumatici, pur non essendo di primo pelo, alla seconda curva abbiamo tirato una “piantata” catastrofica. Tanto che non c’era verso di rimettere in pista il nostro Munga, irrimediabilmente affondato nella mota e nelle ramaglie del sottobosco. Dovemmo passare a recuperarlo il giorno dopo. Parecchio sconsolati ritornammo all’albergo, accompagnati da un gentile signore del luogo. Guidava una normalissima Golf diesel, ma avreste dovuto vedere come andava per le strette stradine del bosco che conducevano a valle. Noi lo guardavamo sbalorditi, mentre lui – con buona andatura – faceva andare la macchina come fosse su dei binari, anche se il fondo era completamente innevato. Una volta scesi, mentre lo ringraziavamo del passaggio, guardammo i suoi pneumatici: erano sì invernali, ma niente di che, anzi erano piuttosto consumati. Unica accortezza: erano piuttosto “bassi” di pressione. L’eccellente dimostrazione di guida sulla neve non era dovuta a chissà quale ritrovato della scienza e della tecnica, ma solo alla sua esperienza ed abilità. L’austriaco guidava sul fondo bianco come noi guidiamo sull’asciutto: era il suo ambiente naturale. Questo per sottolineare che non si può chiedere a dei romani, che non hanno l’abitudine di guidare sulla neve, di improvvisarsi in gesta degne di Sébastien Loeb. Non funziona. Ognuno dovrebbe conoscere i propri limiti.

Le cose semplicemente accadono, a volte assumono carattere di eccezionalità e di fronte agli eventi naturali l’uomo deve semplicemente essere ragionevole e paziente. Accorto, previdente, prudente quanto si vuole, ma non si può pretendere l’impossibile. Le alluvioni accadono, i terremoti capitano, a volte nevica dove non dovrebbe. Non possiamo farci nulla se non apprendere dagli eventi e cercare di limitare i danni per quanto possibile. Le polemiche, le inchieste delle magistratura – immancabili dopo ogni evento – sono inutili. Non siamo dèi e non controlliamo gli elementi. Dobbiamo recuperare un po’ di sano fatalismo, atteggiamento necessario per convivere con forze più grandi di noi e per imparare, con un po’ d’umiltà, a conviverci.

Paolo Visnoviz, 4 febbraio 2012
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ATTILIO BEFERA: UN COLPO, UN CENTRO

Dopo Cortina e Portofino ecco che la Guardia di Finanza ha deciso di effettuare dei controlli nella zona della “movida” milanese. Nell’era della comunicazione globale il fisco ha messo su “on” la modalità mediatica, come ben spiegato da Attilio Befera, dominus di Agenzia delle Entrate ed Equitalia: «È necessario incutere un sano timore in chi evade il fisco e operazioni come quelle svolte […] sono un deterrente per […] scoraggiare gli evasori».

Più che un deterrente, questo tipo di controlli sembrano propaganda, terrorismo mediatico-fiscale, una delle poche armi rimaste alle fiamme gialle. Infatti l’organico è ridotto all’osso, le automobili di servizio sono obsolete e scassate, i computers sono degli scarti di magazzino e qualcuno, per poter lavorare, se li porta persino da casa. A questo stato di cose fa da contrappunto una generale eccellente preparazione e una elevata professionalità del personale di servizio. In un paio di settimane le Fiamme Gialle sono in grado di ricostruire un bilancio partendo da una analisi del cartaceo meglio di un qualsiasi commercialista, ma impossibilitati di farlo con sufficiente capillarità.

Questi blitz anti-evasione sono più fumo che arrosto e si fermano alla superficie del problema, limitandosi a tentare di accertare le infrazioni più clamorose, quelle grossolane e plateali, quali la mancata emissione di scontrini o la presenza di lavoratori non regolarmente iscritti. In realtà i veri evasori sono molto attenti agli aspetti formali e mai commetterebbero errori talmente palesi, facilmente segnalabili da chiunque, come quello di non emettere lo scontrino. Dispongono di altri strumenti e di altre tecniche, più subdole e che ben si possono nascondere nelle pieghe di un bilancio. Nulla che i nostri preparati Ispettori non possano scovare, avendo tempo e mezzi, ma essendo questi carenti ci si deve accontentare di queste azioni propedeutiche ai titoli dei quotidiani.

È molto preoccupante che a circa un terzo degli esercizi controllati siano state contestate irregolarità così clamorose come parrebbero quelle di Milano. È un dato che potrebbe indicare disperazione e totale lassismo: non riuscendo a pagare le tasse tanto vale evitare di emettere scontrini o ricevute, rinunciando anche a quel minimo di rispetto delle regole, anche solo formale, tanto l’alternativa è chiudere comunque. Ragionamento un po’ riduttivo, mi rendo conto, ma in mancanza di dati più dettagliati altro non si può pensare, anche perché è difficile credere che, in centro a Milano, un esercente su tre non emetta gli scontrini e quindi bisognerebbe conoscere più in dettaglio i tipi di infrazioni contestate. Attendendoci però a quanto reso noto le irregolarità sarebbero – per massima parte – classificabili in un tipo di evasione “povera”, per mancanza di alternative, ma ve ne sono almeno di altri due tipi.

Quella arrembante, consapevole e volontaria, che non esito a definire criminale, dove l’imprenditore o esercente, che ha la fortuna di imbattersi in un “filone” commerciale di successo, decide di massimizzare gli utili, non pagare nulla, e di sfruttare il sfruttabile fino a quando possibile. Generalmente due o quattro anni, poi chiuderà e riaprirà qualcos’altro, un’altra società, in un altro settore, via, città, con altri prestanome. In questa categoria si dovrebbero collocare pure le “truffe carosello”, le false fatturazioni, ecc. Qui gli ispettori della Finanza, con i mezzi che hanno possono poco, ma ancora, con un grosso impegno, riescono a contrastare il fenomeno.

Esiste poi il terzo tipo, quella più grave per dimensioni e complessità, dove l’evasione è solo la conseguenza di reati più gravi. Riguarda le grandi aziende, sono i casi Parmalat (14 miliardi di Euro) o Fastweb/Telecom Italia Sparkle (2,4 miliardi di Euro) e moltissimi altri, dove fondi neri, riciclaggio e paradisi fiscali s’intrecciano con la politica. Qui le Fiamme Gialle nulla possono e quando emergono gli scandali significa che la gallina dalle uova d’oro è ormai morta stecchita oppure che la guerra politica per il controllo di queste società – con annessi e connessi – è deflagrata a livelli non più occultabili.

Per gli organi di controllo è difficile esercitare una forma di contrasto all’evasione più evidente, complicato scovare l’elusione, assolutamente impossibile entrare nelle grandi società a meno che la politica non voglia.

Così a Befera non rimane altra strada di quella posta in essere: il clamore mediatico, propedeutico a tenere in piedi il teorema che se le tasse sono alte è per colpa dell’evasione fiscale e i chiassosi controlli servono a certificarlo. Ecco spiegato l’inedito battage, un tempo inesistente, pur mai mancando le attività ispettive. Peccato che in seguito a queste retate non vengano divulgati che dei generici dati, buoni per un titolo di giornale e nulla più.

Una cosa è certa: con gli attuali livelli di pressione fiscale nessuna azienda per sopravvivere può fare a meno di ricorrere ad ogni mezzo possibile se non d’evasione, almeno d’elusione fiscale. Se gli ispettori potessero indagare approfonditamente ogni attività scoprirebbero che il 100% di queste, poco o tanto, ricorrono a mezzi illeciti o quasi per sopravvivere. Solo a controlli superficiali e di aspetto formale non si verifica l’effetto di “un colpo, un centro”, e questo sta a significare che il sistema non funziona e che non basterà la retorica della legalità o criminalizzare alcune categorie per impedire la catastrofe del collasso del bilancio dello Stato.

Bisognerà attendere i dati dell’economia del prossimo anno per capire se le misure del Governo dei Professori saranno state efficaci. Per il momento il 2011 è stato l’anno record per cessazioni di attività (12mila solo per fallimento) e temo che il 2012, vista la strada intrapresa, andrà peggio. È così difficile comprendere che “il sano timore” – con questi livelli di tassazione, unitamente ad un mercato in recessione – invece di far pagare le tasse farà chiudere le aziende?

Paolo Visnoviz, 30 gennaio 2012
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Legnostorto – 30 gennaio 2012

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CERTI PRIVILEGI SI PAGANO

Sembra ormai chiaro quali siano stati gli errori del Berlusca. Ecco, vi vedo! Subito a pensare a Ruby e a Minetti (che però aveva il non disprezzabile vantaggio di essere bilingue). Invece no. Come pure non hanno contato Cosentino, Scajola, lo Spread, la Lega, Tremonti, Fini, ecc. Neppure Napolitano. Nulla di tutto questo.

Berlusconi, contrariamente a quello che comunemente si crede, differentemente dalla leggenda che lo vorrebbe di successo perché il più medio tra i medi (se con le zeppe) e quindi capace di interpretarli al meglio, degli Italiani non ha mai compreso nulla.

E poco di lui hanno compreso i suoi avversari che per anni si sono spesi in aggettivi apocalittici, descrivendo scenari da “ventennio”, “regime”, “dittatura”; strillando ad ogni piè sospinto della periclitante democrazia, ché la libertà di stampa era già bella che andata: “Cercasi ciclostile anche usata, per stampe clandestine”. Citofonare Scalfari.

Che dire dell’ultima scena de “Il Caimano” di Moretti? Atmosfera cupa, Berlusconi esce dal tribunale finalmente condannato, aizza la folla che subito aggredisce i giudici tirando loro le molotov (quelli del Minzolini fan club, certamente). L’unico a non accorgersi che si trattava solo di un film (di fantascienza, ghostwriter Giacobbo) è stato Santoro, tanto da finire su piattaforme talmente futuribili che non lo guarda più nessuno. Non fosse per la diretta strombazzata sulla prima pagina del Corrierone potrebbe funzionare da esperimento Seti al contrario. Eppure Santoro, pur non accorgendosi che si trattava solo di un film, che quello era Nanni e non Silvio, che mai dal Triassico (era dei Craxosauri e dei Borrellyx) ad oggi si è visto un berluscones così evoluto da saper costruire una molotov, eppure, si diceva, Santoro sì che conosce gli Italiani. Infatti, in virtù della grave emergenza democratica, ha chiesto a tutti 10 Euro, trovando pure più di 100mila persone che glieli ha dati: come non aiutare un poveraccio che di buonuscita dalla Rai si è preso solo 2,5 milioni di Euro?

Berlusconi ha sbagliato ad invitare gli Italiani a credere nel futuro, ad essere ottimisti. “Ha negato la crisi!”, si disse e lo si continuò a ripetere finché non è divenuto vero. Che ingenuo. Ed allora ecco Mario Monti: “Emergenza greca, spagnola, portoghese, irlandese, islandese, esquimese. Situazione gravissima, sacrifici per tutti…” E per evitare si pensasse fossero solo parole al vento subito giù tasse: Imu, benzina, sigarette, liberalizzazioni punitive. Funziona sempre, almeno dall’introduzione dell’imposta sui carburanti per la guerra d’Abissinia, tutt’ora in vigore (la tassa, non la guerra). E l’Italiano si lamenta, piange, si straccia le vesti, ma in fondo è filosofo (soffro, quindi sono) e pure tenerone: “Equitalia mi cerca, significa che mi vuole bene”.

Berlusconi ha sbagliato a non replicare mai, a lasciare che lo prendessero in giro. Raramente si è adirato ed ha reagito. Non è nel suo carattere, difatti le volte che ci ha provato ha toppato: dalla telefonata a Floris a quando se la prese con L’Unità e poco altro. Provate a dire qualcosa a Monti, invece. Il bavero del loden si alza minaccioso, un sopracciglio s’inarca, lo sguardo diventa severo e subito arriva un’acida battuta in perfetto stile british. Lo sa bene la Merkel che non ha nemmeno finito di dire “L’Italia può farcela da sola” (sottotitolo: “arrangiatevi”) che Monti ha replicato “la governance dell’eurozona non è all’altezza” (sottotitolo: “culona inchiavabile”).

Ecco dove ha sbagliato Berlusca. Gli Italiani non si governano infondendo ottimismo, ma terrore; non si può essere leggeri e nemmeno raccontare barzellette; bisogna essere accigliati, minacciosi, professorali e tanto, ma tanto suscettibili. Allora sì, allora il popolo si lamenterà, si dispererà, piangerà, qualcuno si suiciderà, ma i sacrifici verranno fatti. Che soddisfazione! Nasceranno comitati che aiuteranno le banche a comperare titoli di Stato, ci sarà chi denuncerà suo fratello perché non ha fatto lo scontrino, seguiranno indignate reazioni della Camusso e di Epifani contro chi si permette di scioperare per fame: bisogna morire in silenzio, possibilmente senza disturbare il conducente.

L’Italiano è un popolo che assimila poche parole per volta. Ora ha appena imparato “casta”. I sacrifici bisogna farli per forza, perché in caso contrario, crollasse questo Parlamento, trascinandosi dietro pure le Istituzioni, crollasse la “casta”, con chi potrebbe mai prendersela? Certi privilegi si pagano. Anche e soprattutto quello di lamentarsi senza ribellarsi.

 

Paolo Visnoviz, 29 gennaio 2012
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Legnostorto – 29 gennaio 2012

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