Le premesse. Quando nel nostro piccolo, ma con veemenza, avvisavamo che la sistematica demolizione dei baluardi laici in Africa, con guerre e primavere, avrebbero aperto la via al terrorismo islamico in Europa, nessuno ascoltava. Tutti erano troppo intenti a gioire per la caduta di Gheddafi, Ben Alì, Mubarak, ecc.
Fino a quando americani ed europei erano presenti in forze in Afghanistan e in Iraq, gli integralisti erano troppo occupati a tentare di liberare il sacro suolo dai cani infedeli. Poi la strategia è cambiata, gli Usa si sono accorti che sarebbe stato molto più economico portare il caos, fomentando ora una, ora l’altra fazione. E pazienza se questo avrebbe significato, com’è stato, lo sfacelo delle frontiere e l’immigrazionismo selvaggio, tanto ne sarebbero andati di mezzo quegli idioti di europei.
Un’Europa priva di popolo, di politica interna ed estera, asservita agli interessi statunitensi contro i propri, divisa da competizioni per l’energia tra quegli stessi Stati che dovrebbero essere o perlomeno diventare, forse un giorno, uno. Un’Europa che, sempre per non dispiacere l’alleato d’oltre Oceano, ha scelto stolidamente di tagliare i ponti con la Russia dopo una crisi Ucraina voluta anch’essa dalla più grande democrazia del mondo.
La colpa della crisi non è dell’Euro, ma di una Europa che avanza in ordine sparso, perché ogni Stato invece di guardare vicino, costruendo e difendendo interessi comuni, preferisce fregare il cugino affinché Zio Sam lo ricompensi con le briciole.
Parigi. Quanto abbiamo visto oggi, con la grande manifestazione parigina, è solo la logica conseguenza, il naturale prosieguo del cammino di un cieco nella notte fonda. Le destre si sono messe a fare i distinguo: “Io non sono Charlie”, lasciando così campo libero alle sinistre, a quelli che l’immigrazionismo lo hanno creato, a quelli che continuano a ripetere che l’Islam è buono, a quelli che hanno finanziato la guerra contro Assad, avvalendosi degli stessi criminali che hanno appena messo a ferro e fuoco Parigi. Ed hanno avuto pure la faccia tosta – tutti loro – di mettersi alla testa di un corteo, in gran parte spontaneo, divenuto enorme per l’emotività e lo shock, per fare passerella e intestarsi una vittoria politica enorme. Invece in prima fila a quella manifestazione avrebbero dovuto esserci solo perché la gente potesse meglio prenderli a calci nel sedere.
Ovvio che alla sfilata non abbiano voluto Marine Le Pen, perché avrebbe sbattuto loro in faccia le proprie responsabilità, ma Le Pen padre ci ha messo del suo, dichiarando “Moi, je suis désolé, je ne suis pas Charlie”, imponendo quindi lo stesso cono d’ombra alla figlia.
Dichiarare oggi di non essere Charlie è sbagliato da un punto di vista dei valori – e i valori proprio oggi abbiamo il dovere di mantenerli sacri -, il valore della libertà. Anche quella di fare un giornale brutto, dissacrante e di dubbio gusto. Non è importante, non siamo al circolo letterario a bere tè e fare critica, ma sulle barricate a difendere la nostra civiltà.
Non bisognava quindi lasciare la passerella di quella sterminata piazza, senza denunciare quanti erano in prima fila come i mandanti – per cinismo o imbecillità, non importa – dell’assassinio di Charlie.
Idem a casa nostra dove Salvini, sempre più adatto solo a gestire la sagra della salsiccia, si è messo a delirare di «milioni di persone, anche sui pianerottoli di casa nostra, pronti a sgozzare e a uccidere». Troppi anche da noi i “non sono Charlie”, un regalo politico enorme proprio a chi quel Charlie lo ha ammazzato. Solo il primo, temo, di una lunga serie.