ASSENTEISMI E DINTORNI

Grande scandalo ha suscitato la notizia degli assenteisti tra i vigili urbani e i macchinisti a Roma e a Napoli. Giustamente. Ma c’è da chiedersi, i grandi organi d’informazione scoprono questo fenomeno solo oggi?

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Il certificato malattia che arriva al lunedì o proprio nel mezzo delle vacanza estive o invernali, a seconda dei casi, propedeutico a prolungare l’assenza dal lavoro è un segreto di pulcinella. Accade ovunque nel pubblico, dalle Regioni alle Province, ai Comuni, alla Sanità, Istruzione e alla Sicurezza. Ovunque e da sempre, tranne che nel settore privato, dove al verificarsi di casi simili il classico calcio nel sedere è garantito.

Nel settore pubblico, invece, tutto ciò viene da sempre tollerato. Liquidato da una alzata di spalle. La colpa è di certo di quei dipendenti disonesti che fingono una malanno per allungare le vacanze, dei medici i quali con troppa superficialità concedono giorni di malattia, ma anche e soprattutto da parte di quei dirigenti pubblici che di fronte a quest’andazzo non mettono in atto le ovvie contromisure, sollecitando le visite fiscali, per esempio. Visite che dovrebbero essere automatiche, nel caso di dipendenti pubblici, ma evidentemente l’Asl non ha tempo di occuparsi di queste quisquilie.

Si ha la netta impressione che nel settore pubblico certi controlli non vengano nemmeno fatti, quasi si tratti di tabù. Ricordo che già molti anni fa, questo in tema di sicurezza e regole del lavoro, fuori dai cancelli della Fincantieri, a Mestre come a Monfalcone, stazionavano sempre decine di extracomunitari. Questi attendevano una chiamata dai vari “caporali”, per poter guadagnarsi la giornata. Ovviamente non erano assunti, ma lavoravano – e lavorano – in nero. E questo all’interno di una azienda pubblica, dove le tutele e il rispetto della legge dovrebbero essere scontate.

Le leggi però risultano troppo vincolanti per stare sul mercato, allora, con il meccanismo dei sub-appalti, affidati rigorosamente ad aziende con meno di 15 dipendenti, si scaricano l’onere dell’illegalità e le responsabilità conseguenti, su artigiani e piccoli imprenditori che operano con contratti capestro. Vince chi riesce ad essere più filibustiere, chi è più spregiudicato. I controlli? Quasi assenti e, quando ci sono, l’ispettorato del lavoro concorda le date delle visite con Fincantieri, non sia mai debbano riscontrare le irregolarità che sono sotto gli occhi di tutti.

Ovviamente Fincantieri – ripeto, azienda di Stato – fa finta di nulla. Ogni tanto qualche condanna, ma che investe solo qualche incauto imprenditore, mai il colosso industriale. Questo sistema ipocrita esiste perché le leggi del lavoro sono troppo rigide e non potendo cambiarle adeguandole al mercato, si aggira l’ostacolo esternalizzando a più non posso.

Così, all’interno della stessa azienda, ci sono dipendenti con stipendi invidiabili e tutele di ogni genere, mentre altri lavoratori “indiretti” sono costretti a turni massacranti per 600/900 euro al mese. Anche questo è noto a tutti, ma egualmente tutti fanno silenzio.

Ora, tornando agli assenteisti di Roma e Napoli, per quale motivo, retoricamente chiedevo, solo oggi lo scandalo assume dignità di essere sparato sulle prime pagine dei giornaloni? Molto probabilmente, dopo il job-act e la conseguente polemica della sua applicazione solo al settore privato, si vuole istruire un clima adeguato per affrontare una riforma anche per quello pubblico.

Così fosse non ci sarebbe da scandalizzarsi, anzi, meglio tardi che mai e ben venga l’indignazione dell’opinione pubblica di fronte a questi fenomeni, per troppo tempo tollerati. Ad essere realisti però, non si possono nutrire molte aspettative: se la riforma del mercato del lavoro si è rivelata la classica montagna che ha partito il topolino, non si vede come si potranno ottenere risultati degni di nota nel settore pubblico, dove impera proprio la più becera partitocrazia del Pd e la sindacalizzazione è più diffusa e pervasiva.

Nel frattempo, pur con tutte le riserve del caso, non resta altro che contribuire a soffiare sul fuoco, ben consci di farlo non perché manovrati, ma per profonda convinzione, con la contraddizione di sperare da disillusi che la fiammella si trasformi in un incendio.

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LA DITTATURA DEGLI ITALIOTI

Per anni ci hanno raccontato di come, in questo Paese, mancasse la democrazia, di come Mediaset facesse il lavaggio del cervello alla gente. Chi timidamente affermava che su dette reti, inclusi i Tg, di politica non si parlasse affatto, che non sembravano per nulla schierate (Emilio Fede a parte, il quale contava, in ascolti, percentuali ridicole), rispondevano: «appunto!, fanno del disimpegno la loro arma migliore. Addormentano le coscienze.». Era difficile rispondere a tali affermazioni: si era troppo impegnati a raccogliere le proprie braccia, e pure qualcos’altro, appena cadute.

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Il leitmotiv è stranoto e non occorre ripercorrerlo qui in dettaglio, basta ricordare che termina con il ritornello, ripetuto talmente tante volte da sembrare vero, del «ventennio berlusconiano che ha dominato (e rovinato) l’Italia».

Per la costruzione di questo scenario si sono fatti molti sforzi: sono stati scritti migliaia di elzeviri, sono state trasmesse innumerevoli ore di talk-show, scritti libri, svolto inchieste, celebrati processi, fotografati topolanek al vento. Di tutto, di più. Caduto Berlusconi, la morale è cambiata. Aspetti a cui si dava ampia rilevanza, adesso si liquidano con una alzata di spalle.

Ricordate l’ampio e acceso dibattito attorno ai rapporti Freedom House, organismo finanziato per l’80% dal governo Usa, ma che si autodefinisce «una voce chiara per la democrazia e la libertà in tutto il mondo» e che dà, tra l’altro, le pagelle sulla libertà di stampa delle varie nazioni? Ebbene, l’Italia fu retrocessa da Paese libero a semi-libero a causa dei governi berlusconiani, e ciò fu oggetto di grande scandalo. Per la cronaca, siamo ancora parzialmente liberi, nonostante i trascorsi, osannatissimi esecutivi Monti, Letta e l’attuale Renzi, ma ovviamente non se ne cura più nessuno.

Idem per quanto riguarda gli articoli sulla stampa estera che parlavano di noi in modo poco lusinghiero. Non c’era giornalista che non si stracciasse le vesti per le brutte figure che al Paese faceva fare Berlusconi, salvo poi, infischiarsene bellamente anche se a titolare, in prima pagina, «Non c’è angolo d’Italia immune dalla criminalità», è il New York Times, forse la più prestigiosa e autorevole testata al mondo.

Ma la disinformacjia non si è certo arrestata con la caduta di Berlusconi. Basta vedere cosa siano capaci di raccontare su Mafia Capitale per rendersene conto, dove le colpe di tutto – al di là di ogni evidenza – vengono scaricate su Alemanno. Eppure i numeri raccontano una realtà ben diversa, sia per l’inchiesta romana, sia per gli scandali maggiori, da Lusi a Penati, da Mps al Mose dove i titoli sono tutti per Galan (Pdl), ma si sorvola su Giorgio Orsoni o Zanda (entrambi PD). Numeri che coinvolgono la sinistra in modo pesantissimo.

Non potrebbe essere diversamente. Il centro-sinistra governa la quasi totalità dei Comuni, delle Province e delle Regioni. È al governo in Italia ed ha portato una sterminata pletora di rappresentanti in Europa. Controlla praticamente tutta l’informazione; salvo quattro giornaletti di area opposta, tra l’altro con idee poche e ben confuse, allo sbando e privi di linea politica, incapaci di affondare le penne nell’enorme area di malaffare costituita da cooperative e partecipate, anche queste governate dal centro-sinistra.

Non c’è angolo del Paese che non sia in mano ad una dittatura politica, economica, culturale progressista. Si sono impadroniti pure di Bergoglio, ne hanno fatto una loro bandiera, si sono trasformati da feroci mangiapreti in depositari del vero Vangelo, giungendo ad interpretare e a dare “corretta” lettura dei Dieci Comandamenti. Certamente non gratis, dato che Benigni, per due sole serate, pare prenderà ben 2 milioni e 400mila euro. Ma si sa, la cultura costa, figuriamoci quando ha il sapore della Verità.

Sul fronte opposto sembrano tutti dei pugili suonati, incapaci di ricompattarsi e di proporre una linea politica chiara ed incisiva. Berlusconi, ormai sfinito e finito, ha preferito appaltare Forza Italia a Renzi e manca talmente un leader che, nel buio pesto, riesce a brillare addirittura Salvini. I liberali che, seppur sparuti come sempre, avrebbero oggi spazi politici pari a praterie, sono dispersi in mille rivoli, sputtanati addirittura dal Mago Zurlì non si sono più ripresi. Intenti a misurare chi è più liberale di chi, come degli adolescenti nel bagno della scuola fanno a chi ha il pisello più lungo. Ma questa è un’altra (triste) storia.

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LOTTA DURA SENZA FATTURA

Mi avete veramente rotto i coglioni. Voi italiani. Tutti. Presidente del Censis in primis, che stila il rapporto annuale sottolineando – giustamente – di come l’Italia umili i giovani, salvo poi nominare come successore alla guida di questo istituto suo figlio.

Lotta dura senza fattura

Non c’è giornalista che lavori in Rai, Mediaset o qualche prestigiosa testata che non sia figlio di giornalista. Non c’è attore che non sia figlio di attore e così via, da incarico a professione, mentre tutt’attorno non si sente pontificar d’altro che di meritocrazia. Per gli altri.

A dir il vero qualche eccezione a questa regola c’è, questo nel caso in cui il soggetto da sistemare sia figlio di qualche politico. Allora il posto, e lo stipendio, si possono addirittura scegliere.

Il problema è che manca il lavoro, si sente dire. Vero. Ma l’idea che la classe dirigente ha creato del lavoro è distorta, drogata fin dall’inizio, nella nostra stessa Costituzione dove si dice che l’Italia sia un Paese fondato sul lavoro (art. 1) e che questo sia un diritto (art. 4). Balle. Il lavoro non è un sacro diritto, ma una necessità. Esattamente come l’acqua, il cibo, il sesso. Nessuno però si sognerebbe di reclamare una puttana per diritto (politici a parte). Lo Stato non deve dare acqua o elargire cibo, ma solo garantire il libero accesso a questi.

Il lavoro è l’esercizio di un mestiere o di una professione, atti a soddisfare bisogni individuali o collettivi ed ha come fine l’ottenimento di obiettivi specifici, tornaconti, compensi. Se il mercato non ha bisogno di alcuni beni o servizi, inutile continuare a produrre quei beni o fornire quei servizi. Dovrebbe essere lapalissiano. Invece la politica fa esattamente questo: crea lavoro dal nulla, per nulla. Fine a se stesso, anzi fine a se stessa, la politica. È così che si creano generazioni di clientes. È così che, nonostante quanto si veda ogni giorno tra scandali, scempio di pubblici denari, i nostri denari, ci sia ancora gente che ha il coraggio di recarsi alle urne, continuando a leggittimare questa classe politica corrotta. Perché, a differenza delle dichiarazioni indignate, oltre al “piove, governo ladro”, nel privato sono ladri tutti, per piccole o grandi convenienze.

Un mio amico, di cui tacerò il nome per pietà, quando era dipietrino si è fatto assumere da una società parastatale grazie al padre sindacalista, successivamente si è licenziato ed è divenuto grillino, andando a lavorare nel privato, ma facendo fatturare alla moglie per non perdere l’assegno di disoccupazione. Ed è solo uno dei milioni che scendono in piazza a gridare contro la mafia da mafioso, contro l’evasione da ladro.

Almeno 3,5 milioni di pubblici dipendenti sono indignati e chiedono una seria lotta all’evasione fiscale, al riparo da ogni affanno derivato dalla crisi, salvaguardati nel loro stipendio, nel loro diritto alle ferie e ai certificati di malattia che le prolungano. Protetti da sindacati che si stracciano le vesti per l’art. 18, salvo avvalersi di collaboratori pagati in nero. Paladini di diritti inesistenti altrui, per meglio rubare nel privato, come tutti. Non è superficiale generalizzazione, è la spietata fotografia dello stato di fatto. E non c’è scampo.

Non c’è opera pubblica che non abbia costi esorbitanti, anche tre volte il valore di mercato, quando va bene. E quando va male, rimangono i costi senza nemmeno l’opera. Ce ne accorgiamo con difficoltà, perché i numeri in gioco sono folli, talmente enormi da non riuscire a riportarli sul piano umano, comprensibile; e gli episodi sono talmente tanti da non aver nemmeno il tempo di indignarsi per uno scandalo che subito viene seppellito da un altro. Idem per i servizi: da terzo mondo per qualità e galattici per spesa.

Attendere che la politica riformi se stessa, che quel partito sia meglio di un altro, è pura illusione. La politica nostrana è l’arte di sottrarre denaro a chi lavora, è furto all’ennesima potenza, è ladrocinio. È il mestiere di rubare a molti per dare a pochi. Amici e parenti quando è sfacciata, categorie sociali quando è “onesta”, per continuare a perpetuare se stessa. La riduzione delle tasse che Renzi sbandiera – e altri prima di lui – funziona sempre con il meccanismo delle detrazioni, il che significa lasciare invariati o aumentati gli attuali livelli di pressione fiscale per tutti, salvo dare dei contentini ad alcuni: gli amici.

Non rimane altra strada che rifiutarsi di pagare le tasse, tutte. Fare la massima attenzione a non prendere multe, rendersi invisibili al fisco, tenere conti correnti all’estero. Insomma: difendersi. E se scoperti, fare ricorso. Invece di pagare le sanzioni, intasare i tribunali. Con la consapevolezza che ogni tassa pagata è una cozza pelosa regalata. Affamare e paralizzare il sistema, per farlo implodere. Ogni altra soluzione è collusione.

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