Oscar Lancini, sindaco leghista di Adro, balzato agli onori delle cronache per aver tappezzato la scuola del paese con una marea simboli verdi del “Sole delle Alpi”, è stato messo agli arresti domiciliari. Le accuse mosse dalla Procura sono pesanti: falso in atto pubblico, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e turbata libertà degli incanti. Ai domiciliari è stata spedita pure gran parte della sua giunta e un paio di imprenditori.

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Quello che però stupisce sono le dichiarazioni di Roberto Maroni: «Sono veramente sorpreso, conosco da tanto tempo Oscar Lancini. È un bravo sindaco, una persona onesta, sono certo che dimostrerà la totale estraneità dalle accuse mossegli». Sulla stessa linea Matteo Salvini: «Puzza di attacco alla Lega che cresce» (?) «e fa paura. Da buon leghista ha sempre lavorato per favorire la nostra gente e le nostre imprese, ovviamente nel rispetto della legge.» Forse proprio nel rispetto della legge non è così certo, non solo perché ora si ritrovi ai domiciliari, ma anche perché la ditta di famiglia – successivamente passata di mano, ma nella quale fino all’ultimo rimase impiegato il fratello di Lancini – era stata accusata di versare scorie tossiche nell’ambiente. Accuse che devono aver trovato qualche fondamento, dato che recentemente l’azienda è stata chiusa d’imperio dalla procura.

Ma come? Dove sono finite le scope, le grida «pulizia, pulizia, pulizia», il «chi sbaglia paga»? Dei consiglieri comunali sono stati cacciati dal partito senza nemmeno dar loro diritto di replica, appena poche ore dopo che era stata battuta la notizia fossero indagati. Più veloci della luce. A distanza di 24 ore, su Oscar Lancini tutto tace. Si registrano solo gli attestati di stima e fiducia di Maroni e Salvini. Le scope sono state rimesse in ripostiglio.

Per essere chiari: meglio così. Meglio attendere sia fatta chiarezza, piuttosto dell’agitar di cappio. Stupisce però questa doppia morale. Ad essere maligni, si potrebbe allora pensare che l’indignazione nei confronti di Bossi e del “cerchio magico” non fosse poi tanto genuina. Si potrebbe credere che la tanto strombazzata “pulizia”, il tanto agitar di scope altro non sia servito se non a metter mano sul malloppo del partito. Ottenuto questo, il nulla. Anzi, ci fu ancora un po’ di clamore – la campagna elettorale – giusto per permettere a Maroni di agguantare la poltronissima di governatore della Lombardia. Poi, silenzio di tomba.

È stupefacente, infatti, con quale discrezione si muova Maroni, quanto stia attento a non “dar fastidio”. Eppure, con questo governo di larghe intese avrebbe davanti intere praterie. Politiche, s’intende. Potrebbe alzare la bandiera degli allevatori vessati dall’Imu su terreni, stalle e cascine, potrebbe denunciare la scomparsa degli stampatori di seta del comasco, della difficoltà dei mobilieri canturini, della crisi industriale del varesotto e mille altre ingiustizie causate dagli ultimi governi che ci hanno svenduto allo straniero, lasciando questi (mis)fatti appannaggio delle cronache, senza alcuna convinta e decisa rappresentanza politica. Invece nulla.

A Maroni sembra bastare la cadrega maxima lombarda – in effetti non poca cosa in periodi di Expo -, trasformando un partito che aveva un peso enorme al Nord, in una bocciofila di paese. Un club dove si gioca con il manico della scopa a pentolaccia, senza benda, anzi vedendo benissimo solo la testa di alcuni.

Paolo Visnoviz
Zona di frontiera (Facebook) – zonadifrontiera.org (Sito Web)

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IL GRAMELLINI COPIANTE

Massimo Gramellini è un giornalista, scrive su “La Stampa” e frequenta Fabio Fazio in tv. Ieri ha scritto una piccola storia, Il biglietto volante, dove racconta delle testarde peripezie di un brizzolato signore per riuscire ad obliterare il biglietto, nonostante autobus stracolmo e timbratrici rotte. Riuscirà nel commovente intento grazie alla collaborazione degli altri passeggeri del bus.

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Tutto sommato una storia di banale quotidianità, capitata se non a tutti, a molti. Ma il Gramellini la fa sembrare una avventura perigliosa: una volta affidato il biglietto intonso nelle mani di una sconosciuta, nessuno può garantirgli gli verrà restituito. Invece «il biglietto decolla, vola di mano in mano sulle teste di tutti e, dopo un viaggio irto di deviazioni e di pericoli, ritorna nelle mani del titolare: obliterato.» Stupefacente!, e «sul tram, per un momento, tutti si sentono inspiegabilmente felici.»

Una storia commovente, con lieto fine e alti contenuti formativi/educativi, come piace a Gramellini. Perché non basta informare, bisogna, anche e soprattutto, educare. La lezione morale è alta, anche se la storia è piccola. Ma proprio nelle storie piccole si trovano elevati insegnamenti, si toccano le corde più profonde dell’individuo e, in questo caso, ci restituisce la vibrante commozione dell’onestà ad ogni costo.

Tutto bene, Gramellini ha fatto di nuovo centro e i commenti di plauso in calce al suo articolo si moltiplicano. Peccato che lo scritto non sia suo, ma parrebbe copiato pari pari da un post su Facebook. Nel pezzo pubblicato da “La Stampa” non c’è traccia di citazione dell’autore, non si parla nemmeno di una generica ispirazione ad una lettera o ad uno scritto. Nulla. Avrebbe potuto servire da alibi, anche se, più che di ispirazione, qui si tratta di mera copiatura. Siamo ai livelli del Saviano di maggior successo. Una bella gara tra fotocopiatori.

Il problema è piccolo, come la storia narrata, Gramellini farà finta di non aver udito, di non aver letto i pochi commenti che lo hanno accusato di aver copiato, nessun giornale sprecherà una sola riga d’inchiostro sull’argomento e il giornalista-copista andrà da Fazio, ad indignarci degli scandali della settimana. Ancora.

Ergersi a paladino della legalità, mettere sotto giudizio i comportamenti altrui, raccontare una vicenda dai contenuti etici, con una storia rubata, è veramente il massimo della contraddizione o della falsità. Scegliete voi.

Non cambia molto, Massimo Gramellini rimarrà un grande giornalista: come fa la morale lui, nessuno. A tutti, tranne che a se stesso.

Paolo Visnoviz, 24 ottobre 2013
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TELE CAMPANILE

Ci si accorge quanto questo Paese sia cambiato, quanto profonda sia la crisi, se solo ci si guarda attorno e si evitano le distrazioni dettate dai grandi organi d’informazione. Ieri, per caso, sono incappato in un tg regionale di una tv privata, credo veneta. Quei tg che un tempo giudicavo ridicoli, pieni di notizie di quartiere irrilevanti, oggi raccontano di più, meglio e in modo più autentico il dramma quotidiano che ci circonda.

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Disoccupati in piazza; aziende che chiudono; agricoltori amati e rispettati da tutti, considerati “in vista”, pilastri della comunità di paese, morti suicidi; famiglie amputate del loro primogenito – unica fonte di sostentamento – rimasto disoccupato e finito in carcere perché costretto a spacciare, rassegnate a supplicare qualcuno prenda in affidamento gli altri figli piccoli, perché non hanno più nulla da dargli da mangiare. Storie vere, storie quotidiane sottaciute dalla stampa main stream.

La cronaca continua con extracomunitari che rubano, violentano e uccidono; con l’impotente indignazione della gente che da vent’anni attende una casa e che si vede scavalcata dai “rifugiati” coccolati, assistiti, mantenuti e pure, il più delle volte, stronzi. Guai a dirlo però, si viene bollati come razzisti; guai a parlarne, si potrebbe creare un’«immotivato allarme sociale».

Santoro si preoccupa invece di dare voce a Michelle Bonev per sparlare di Berlusconi perché, pur avendogliela data, non le avrebbe prodotto delle fiction. Complimenti!, alla Bonev, ma soprattutto a Santoro e a Travaglio. Quest’ultimo trova addirittura paradigmatica la vicenda dell’attrice Bulgara, «perché dentro c’è tutto». Sì, tutta la merda che ha nel cervello. Però una cosa giusta l’ha detta: «ormai di Berlusconi si può dire ogni cosa, non importa se sia vera o meno, perché ogni cosa, anche la più turpe, sembra verosimile». Travaglio non se ne è accorto, e il suo intendimento era ovviamente altro, ma ha praticamente confessato il suo modo di fare giornalismo. Suo personale, del Fatto Quotidiano, di Servizio Pubblico e molti altri: «non importa se quello che scriviamo è vero, basta sia verosimile.» Grazie, ma lo avevamo capito da tempo.

A questo punto spero Berlusconi schiatti quanto prima. Mi spiacerebbe per lui, certamente, e non bisognerebbe mai augurare la morte a nessuno – anche perché se è scoppiato un casino con la salma di Priebke, figuriamoci con quella di Berlusconi -, ma almeno sgombreremmo il campo da questo comodo alibi, da questa ossessione monomaniacale di tanti giornalisti, politici, opinionisti, comici.

E poi sì, finalmente vedremo l’Italia vera e potremo occuparci delle impellenti emergenze del Paese causate da berlusconismo, capitalismo e liberismo selvaggi. Giusto per ricordare quelle principali: accogliere più immigrati possibile e, a seguire, renderli italiani per dar loro diritto di voto; consentire i matrimoni tra omosessuali e, a seguire, permettere alle neo omo-famiglie di adottare prole; perseverare nella campagna contro gli evasori e, a seguire, controllare ogni movimento commerciale per (continuare a) mettere le mani sui risparmi e sulle case degli italiani; rafforzare il centralismo statale; perseguire l’eguaglianza sociale (al ribasso) tramite l’imposizione fiscale; completare la costruzione dello Stato Etico.

Così continuando, non rimarrà altro che emigrare in qualche altro Paese. La Russia di Putin, per esempio.

Paolo Visnoviz, 18 ottobre 2013
Zona di frontiera (Facebook) – zonadifrontiera.org (Sito Web)

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