CRACK: SI GIRA!

Dai che ci siamo! Presto ogni italico male sarà debellato. Finalmente questo Paese riuscirà a ruotare la Concordia e Berlusconi. Per vent’anni ci hanno raccontato che il Nano era l’unico colpevole di ogni nostro danno: dai rapporti con la mafia, alla corruzione, all’evasione, alla pedofilia, esondando dai patri confini fino alle disgrazie di Mubarak e nipoti.

Il modello cultural-berlusconiano ha instillato, con subdole trasmissioni come “Il grande fratello” e “Amici”, una cappa di soporifera indifferenza, un coma della coscienza, una metastasi del qualunquismo.

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A dir il vero, più che di sonno delle coscienze a me sembravano botte da orbi, e credo che la De Filippi c’entrasse poco, ma tant’è, i modelli sociali e le analisi di costume sono criptiche, citando Vanna Marchi: il medium è il messaggio o il massaggio, non ricordo. E se uno dei pretendenti al trono del Pd è uscito dalla “Ruota della fortuna” qualcosa vorrà pur dire, ed è noto che la fortuna di uno è costruita spesso sulla sfiga di molti.

Quante volte valenti giornalisti hanno paragonato il “Costa Concordia” al destino del Paese e il capitan Schettino a Berlusconi! Mi adeguo, anche se impopolarmente continuo a considerare migliore Schettino del comandante De Falco, con quel suo idiota «salga a bordo, cazzo!» in favor di registrazione. Parimenti mi ostino a considerare migliore Berlusconi a Di Pietro, a Ingroia, a Vendola. Quest’ultimo, in una recente intervista, sproloquiava del Costa Concordia e di “ecologismo solidale”, lui!, che ha rimosso l’Ilva di Taranto come fosse un problema di una Regione non da egli amministrata, come fosse una cronaca marziana.

Allora dai, forza!, raddrizzate questa nave, metafora del Paese. La rotazione incombe, la decadenza incalza e l’alba s’avvicina. Passeremo da una società post-industriale ad una deindustrializzata, coltiveremo pomodori di Pachino e cipolle di Tropea, produrremo olive ascolane, lardo di Colonnata e autentico parmesan ché automobili non abbiamo mai saputo farle e ghisa e acciaio sporcano le nostre discariche a cielo aperto. Per questo importiamo immigrati clandestini a badilate.

Si svolta, cambia finalmente un’epoca, le cose miglioreranno, se non nei fatti, almeno su stampa e tv. Frotte di giornalisti Gruber-style – una che entra ed esce dalle riunioni del Bilderberg con naturalezza e con altrettanta posata indifferenza rimane muta come un pesce – ci racconteranno di una Italia finalmente rinascente e ci spiegheranno che quel morso allo stomaco che sentiamo non è fame, ma ineludibile senso di colpa per non dimostrarci – ingrati! – platealmente felici.

Un dubbio però mi assale: per le colpe, il Berlusconi-parafulmine funzionerà ancora per qualche anno e poi, poi quale capro espiatorio troverete alla vostra insipienza? Ah, ma lo troverete, è certo che lo troverete.

Paolo Visnoviz, 16 settembre 2013
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IN GALERA

Luca Telese, quasta sera su “La7”, ha iniziato la sua trasmissione con lo scandalo delle aziende che mettono in cassa integrazione i dipendenti al ritorno dalle ferie. Aziende che chiudono o esternalizzano o, ancora, delocalizzano. Scandalo, condanna morale e crocifissione per quegli imprenditori. Di Pietro, ospite di Telese, si è spinto a dichiarare che Letta dovrebbe fare una legge ad hoc per impedire a quegli imprenditori di andare all’estero: «Bisogna sequestrare i beni di quelle aziende che delocalizzano. Vuoi andare all’estero? la roba però la lasci qui.» Cose da esproprio proletario, da gulag per kulaki.

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La retorica della solidarietà agli operai è insopportabile, stupida e inutile. Quando i migliori economisti facevano notare il semplice concetto della curva di Laffer (oltre ad un certa soglia la pressione fiscale rende l’attività economica non più conveniente e, di conseguenza, pure il gettito fiscale diminuisce), non parlavano di teoria, ma della pratica quotidiana, quella che ora è evidente a tutti. In troppi – i politici che dovevano decidere, ma anche quasi tutti i giornalisti – si trastullavano invece con i blitz della Gdf, usando il luogo comune del “se tutti pagassero” come una coperta di Linus, dichiarando e scrivendo del nulla, cercando di non vedere il problema, trasformando le vittime in capri espiatori.

Ora siamo vicini al dunque. Quelle aziende che chiudono, esternalizzano, delocalizzano, semplicemente cercano modi di sopravvivere, perché con una pressione fiscale vicina al 70% nessuno – nessuno sano di mente – può fare impresa. Non ce la fanno. E chi resiste, elude. Come può, quanto può: il più possibile, “io speriamo che me la cavo”.

Neanche adesso si vuole riconoscere la realtà, quella evidente, sotto gli occhi di tutti, anche adesso si vuole gettare la croce addosso a chi, per necessità di sopravvivenza, probabilmente disperato, è disposto ad un lancio nel buio per trasferirsi, abbandonando il tessuto connettivo della sua azienda tanto faticosamente costruito: i clienti, i fornitori piccoli e grandi, gli operai, i tecnici che hanno aiutato a strutturare e informatizzare l’azienda, gli specialisti, gli artigiani.

Non è l’imprenditore che chiude o delocalizza, quello che merita la condanna morale, non è chi dice “basta” e che però deve continuare a vivere, costretto ad inventarsi soluzioni radicali, da biasimare, ma la classe politica tutta, i sindacati, le banche e i tanti giornalisti-zerbini che hanno tenuto loro bordone per continuare a mantenere un tenore di spesa pubblica ormai insostenibile, scaricandolo sulle spalle di quegli imprenditori, liberi professionisti, artigiani, ecc. che oggi – solo perché si sono stancati – vengono bollati pure come ladri e speculatori. Gente che non ha scrupoli a mettere in strada intere famiglie – è la tesi farlocca – pur di guadagnare il massimo. E chi guadagna più? È almeno dagli anni ’90 che in questo Paese si lavora per sopravvivere e non per arricchirsi. Guai solo a pensarlo, di arricchirsi: è immorale!, oltre che quasi impossibile.

Di Pietro però ha continuato a regalarci perle di saggezza: «Lo stato è senza soldi, e dove si vanno a prendere? Intanto facendo pagare le tasse a tutti. E chi non le paga: in galera». Io, invece, ho un’altra idea.

Lo stato è senza soldi perché ruba, spartisce con logiche clientelari, spreca troppo e non ha intenzione di smettere, neanche in una situazione di crisi così drammatica, neanche se sarebbe l’unico modo per smettere di soffocare il tessuto produttivo e l’economia di tutta la nazione. Iniziamo allora a sbattere fuori dalla cosa pubblica gente come Di Pietro, che si è comperato appartamenti facendo pagare il mutuo al partito, quindi con soldi pubblici. Perché la galera non si augura a nessuno e per gentaglia simile non esiste peggior condanna di quella di non poter più tenere le mani in pasta. Sarebbe un inizio.

Paolo Visnoviz, 27 agosto 2013
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AVENTINO

È sconfortante constatare lo stato di sudditanza, culturale prima che politica, del cosiddetto centro-destra rispetto alla parte progressista del Paese. L’alleanza di governo è l’atto finale e non rappresenta solo la sconfitta del berlusconismo, ma la sua fagocitazione. I provvedimenti di governo, in particolare gli aiuti (farlocchi) alle imprese, la lotta agli evasori – senza prima aver abbassato le imposte – condivisi appunto anche dalla maggioranza del Pdl, l’incapacità di proporre altro che non sia un mero appiattimento sulle posizioni progressiste significa lo sbando totale, certifica l’assenza di guida e di lucidità del centro-destra.

aventino

Ovunque, nei piccoli comuni, nelle regioni, fino al Governo le posizioni espresse dal Pdl sono deboli, si limitano a proteste educate e non troppo chiassose rispetto a chi – ormai in ogni dove e ad ogni livello – governa: la sinistra. La battaglia del Pdl, già prima della condanna che aleggiava nell’aria a Berlusconi, si è smorzata, limitandosi alle lotte animaliste della Brambilla o a quelle anti-fumo della Lorenzin. Non mancano solo le idee, manca la voglia di combattere.

Non impera solo lo sconforto derivante dalla sconfitta subita a causa della magistratura, della stampa main stream e della parte benpensante del Paese, è peggio. Sembra di assistere alla volontà di compiacere ai padroni del vapore, ora che il cappello di Berlusconi ha troppi buchi per offrire un riparo sicuro. Sembra una gara ad apparire dei buoni diavoli: berlusconiani sì, ma innocui, anzi intelligenti (perché annuiscono in silenzio) e collaborativi. Dei nemici di facciata, utili a mantenere l’assetto di potere in atto, a patto di continuare a ricevere un tozzo di pane.

La condanna di Berlusconi mette una pietra tombale su ogni speranza di cambiare direzione al paese in chiave libertaria. Certo, politicamente Forza Italia prima e il Pdl poi avevano già fallito, non sono stati in grado di attuare alcuna riforma degna di questo nome, dimostrando poca incisività e accettando compromessi antitetici ad un libertarismo, seppur minimo. Tanti loschi figuri hanno utilizzato la forza elettorale di Berlusconi per trasformare una battaglia politica in un comitato d’affari, e il Cav. non è stato capace di dire di no a troppi, per non perdere un pugno di voti.

L’ultimo cambio di strategia – passando dallo strillare alle “toghe rosse” alla collaborazione, al senso di responsabilità, ai toni più pacati – non ha pagato. Se qualcuno si aspettava una ricompensa, non è giunta, ma era prevedibile, quasi certo così sarebbe stato. Napolitano se ne lava le mani e mai, nemmeno se il Cav. ne avesse pieno diritto, spenderebbe una parola in suo favore. Figuriamoci se lo farebbe ora, quando la stampa progressista e mezzo paese difendono il pur indifendibile giudice Esposito.

Il problema, però, non è Berlusconi, ma il Paese. E la condanna al Cav. – oltre a dispiacere dal punto di vista umano, come dispiace per ogni qualsiasi altra vittima di ingiustizia – è solo un ulteriore passo verso lo sfracello.

Uno sfracello culturale e politico, dove imperano modelli falsi, tesi a distruggere la nostra società: l’immigrazionismo selvaggio, la demonizzazione di ogni comparto produttivo (ladri ed evasori), l’emanazione di ulteriori leggi per rilanciare l’economia di stampo stalinian-statalista, la restrizione delle libertà individuali – come la limitazione dell’uso del contante e il controllo dei conti correnti -, il giustizialismo politico, la distruzione della famiglia come modello sociale, ecc.

A fronte di tutto ciò Berlusconi rappresentava solo una debole fiammella, la speranza (delusa mille volte) che almeno lui avrebbe potuto tentare di opporsi a tutto questo. Non ci è riuscito. Addirittura molti suoi consiglieri – al peggio non c’è limite – vorrebbero chiedesse la grazia, vorrebbero baciasse l’anello al proprio carnefice! Allora cosa rimane? Può ancora valere il ragionamento “meglio Alemanno che Marino, meglio Moratti che Pisapia, meglio un finto centro-destra che scimmiotta la sinistra, delle sinistre”? Sinceramente no. Grillo, ovviamente, non si considera nemmeno. Non fa testo.

I libertari non sono capaci di fare la rivoluzione, non sono in grado di scendere in piazza e di spaccare tutto o, tanto meno, di usare le P38. L’unica possibilità rimane l’Aventino. Si consegnino le armi, si diano le chiavi di ogni residuo centro di potere alle sinistre lasciandoli governare da soli, senza più alcun alibi alla loro insipienza. Contemporaneamente si smetta di votare e di pagare le tasse. In modo intelligente, ovviamente. Chi ha una attività intesti le proprietà a dei prestanomi fidati, così quando arriveranno i banditi di Equitalia troveranno una scatola vuota. Si usi più possibile il contante. Si faccia attenzione persino alla guida, a non commettere infrazioni: i Comuni vivono di queste. Siate accorti, impeccabili e senza scrupoli: moriranno.

Solo qualche anno di governo con il loro stile, e i danni che produrranno saranno definitivi ed irreversibili (già sono enormi). Saranno costretti ad abbandonare il timone, a gettare la spugna, a chiedere aiuto a chi veramente sa fare, sa costruire e produrre. Allora, solo allora si potrà tornare e, dopo averli presi a pedate, iniziare a ricostruire il Paese.

Paolo Visnoviz, 18 agosto 2013
Zona di frontiera (Facebook) – zonadifrontiera.org (Sito Web)

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